San Raffaele Arcangelo
29 settembre
Nel Nuovo Testamento il termine "arcangelo" è attribuito a Michele. Solo in seguito venne esteso a Gabriele e Raffaele, gli unici tre arcangeli riconosciuti dalla Chiesa, il cui nome è documentato nella Bibbia. San Raffaele, "Dio guarisce", è nominato ampliamente nel libro di Tobia ed in molti apocrifi ed è invocato come guaritore.
Patronato: Ciechi
Etimologia: Raffaele (come Raffaella e Raffaello) = Dio guarisce, dall'ebraico
Martirologio Romano: Festa dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.
Nel presente blog verranno riportate le varie ricorrenze e gli onomastici ed i compleanni degli amici!
martedì 29 settembre 2020
29 SETTEMBRE - SAN RAFFAELE ARCANGELO
lunedì 28 settembre 2020
28 SETTEMBRE - MEMORIE SENZA TEMPO
28 SETTEMBRE 2020 - MEMORIE SENZA TEMPO
sabato 26 settembre 2020
26 SETTEMBRE - SANTI COSMA E DAMIANO
Santi Cosma e Damiano Martiri
26 settembre - Memoria Facoltativa
26 settembre - Memoria Facoltativa
sec. III, inizio sec. IV
Cosma e Damiano, medici anàrgiri (gratuiti), secondo un’antica tradizione subirono il martirio a Ciro in Siria e il loro culto fu assai diffuso in tutta la Chiesa fin dal sec. IV. Il 26 settembre è la probabile data della dedicazione della basilica che a Roma porta il loro nome, edificata da Felice IV (525-530). Di loro si fa memoria nel Canone romano.
Patronato: Medici, Chirurghi, Farmacisti, Parrucchieri
Emblema: Palma, Strumenti chirurgici
Martirologio Romano: Santi Cosma e Damiano, martiri, che si ritiene abbiano esercitato a Cirro nella provincia di Eufratesia, nell’odierna Turchia, la professione di medici senza chiedere alcun compenso e abbiano sanato molti con le loro gratuite cure.
Cosma e Damiano, medici anàrgiri (gratuiti), secondo un’antica tradizione subirono il martirio a Ciro in Siria e il loro culto fu assai diffuso in tutta la Chiesa fin dal sec. IV. Il 26 settembre è la probabile data della dedicazione della basilica che a Roma porta il loro nome, edificata da Felice IV (525-530). Di loro si fa memoria nel Canone romano.
Patronato: Medici, Chirurghi, Farmacisti, Parrucchieri
Emblema: Palma, Strumenti chirurgici
Martirologio Romano: Santi Cosma e Damiano, martiri, che si ritiene abbiano esercitato a Cirro nella provincia di Eufratesia, nell’odierna Turchia, la professione di medici senza chiedere alcun compenso e abbiano sanato molti con le loro gratuite cure.
mercoledì 23 settembre 2020
23 SETTEMBRE - AUGURI MAX
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martedì 22 settembre 2020
lunedì 21 settembre 2020
21 SETTEMBRE - PUBLIO VIRGILIO MARONE
Publio Virgilio Marone, noto semplicemente come Virgilio
o Vergilio; Andes (Mantova), 15 ottobre 70 a.C.– Brindisi, 21 settembre 19 a.C.), è stato un poeta romano, autore di tre opere, tra le più famose della letteratura latina: le Bucoliche , le Georgiche , e l'Eneide.
Epitaffio posto sulla sua tomba
«Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua rura duces»
«Mi ha generato Mantova, il Salento mi rapì la vita, ora Napoli mi conserva; cantai pascoli, campagne , comandanti
pascoli [le Bucoliche]
campagne [le Georgiche]
comandanti [l'Eneide]
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Publio Virgilio Marone
domenica 20 settembre 2020
20 SETTEMBRE - BIRARELLI DON GIUSEPPE
Giuseppe Birarelli,
nacque ad Ostra nel 1810 e morì il 29 dicembre 1887. Il 20 settembre 1835 si fece sacerdote e cominciò ad assistere i poveri ed i bisognosi. In seguito fondò e potenziò le opere di assistenza per la gioventù e il 15 agosto 1858 fondò l'Istituto del Buon Pastore, l'opera pia più importante.
nacque ad Ostra nel 1810 e morì il 29 dicembre 1887. Il 20 settembre 1835 si fece sacerdote e cominciò ad assistere i poveri ed i bisognosi. In seguito fondò e potenziò le opere di assistenza per la gioventù e il 15 agosto 1858 fondò l'Istituto del Buon Pastore, l'opera pia più importante.
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venerdì 18 settembre 2020
18 SETTEMBRE - ANNIVERSARIO DELLA BATTAGLIA DI CASTELFIDARDO
giovedì 17 settembre 2020
17 SETTEMBRE 2020 - SAN ROBERTO BELLARMINO
San Roberto Bellarmino Vescovo e dottore della Chiesa
17 settembre - Memoria Facoltativa
Montepulciano, Siena, 1542 - Roma, 17 settembre 1621
.
17 settembre - Memoria Facoltativa
Montepulciano, Siena, 1542 - Roma, 17 settembre 1621
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Roberto Bellarmino nacque a Montepulciano nel 1542 da una ricca e numerosa famiglia. Nel 1560 entrò nella Compagnia di Gesù. Studiò a Padova e a Lovanio e al Collegio romano di Roma. In quegli anni tra i suoi alunni c'era anche san Luigi Gonzaga. Venne creato cardinale e arcivescovo di Capua nel 1599. Divenne un affermato teologo postridentino. Scrisse molte opere esegetiche, pastorali e ascetiche; fondamentali per l'apologetica sono i voluminosi libri «De controversiis». Con un'opera semplice nella struttura ma ricca di sapienza come il suo «Catechismo» fu "maestro" di tante generazioni di fanciulli. Famoso anche un altro suo volume «L'arte del ben morire». Morì il 17 settembre 1621 a Roma. Nel 1930, ebbe da papa Pio XI la triplice glorificazione di beato, di santo e di dottore della Chiesa. (Avvenire)
Etimologia: Roberto = splendente di gloria, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa, della Compagnia di Gesù, che seppe brillantemente disputare nelle controversie teologiche del suo tempo con perizia e acume. Nominato cardinale, si dedicò con premura al ministero pastorale nella Chiesa di Capua e, infine, a Roma si adoperò molto in difesa della Sede Apostolica e della dottrina della fede
Etimologia: Roberto = splendente di gloria, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa, della Compagnia di Gesù, che seppe brillantemente disputare nelle controversie teologiche del suo tempo con perizia e acume. Nominato cardinale, si dedicò con premura al ministero pastorale nella Chiesa di Capua e, infine, a Roma si adoperò molto in difesa della Sede Apostolica e della dottrina della fede
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mercoledì 16 settembre 2020
16 SETTEMBRE - SAN GENNARO
San Gennaro (Benevento o Napoli, 21 aprile 272 – Pozzuoli, 19 settembre 305)
è stato un vescovo e un martire cristiano; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa.
È il patrono principale di Napoli, nel cui duomo sono custodite le sue ossa e due antichissime ampolle contenenti il sangue del santo raccolto dalla sua nutrice, una donna pia di nome Eusebia subito dopo il martirio. Queste ampolle vengono esposte alla venerazione dei fedeli tre volte l'anno: il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre ed il 16 dicembre; giorni cari alla pietà partenopea in quanto in essi si può assistere al fenomeno della liquefazione, attestata per la prima volta nel 1389 come fatto già noto e considerato dalla pietà popolare un miracolo.
è stato un vescovo e un martire cristiano; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa.
È il patrono principale di Napoli, nel cui duomo sono custodite le sue ossa e due antichissime ampolle contenenti il sangue del santo raccolto dalla sua nutrice, una donna pia di nome Eusebia subito dopo il martirio. Queste ampolle vengono esposte alla venerazione dei fedeli tre volte l'anno: il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre ed il 16 dicembre; giorni cari alla pietà partenopea in quanto in essi si può assistere al fenomeno della liquefazione, attestata per la prima volta nel 1389 come fatto già noto e considerato dalla pietà popolare un miracolo.
lunedì 14 settembre 2020
14 SETTEMBRE - AUGURI CICCIO
14 SETTEMBRE - AUGURI BARBARA
domenica 13 settembre 2020
13 SETTEMBRE - OTELLO GIULIODORI
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sabato 12 settembre 2020
12 SETTEMBRE - AUGURI ANDREAS
venerdì 11 settembre 2020
11 SETTEMBRE - AUGURI PEPPE
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giovedì 10 settembre 2020
10 SETTEMBRE - AUGURI CARLO GIUSEPPE
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10 SETTEMBRE - SAN NICOLA DA TOLENTINO
San Nicola da Tolentino Sacerdote
10 settembre
Castel Sant’Angelo (ora Sant’Angelo in Pontano, Macerata), 1245 - Tolentino (Macerata), 10 settembre 1305
Nacque nel 1245 a Castel Sant'Angelo in Pontano nella diocesi di Fermo. A 14 anni entrò fra gli eremitani di sant'Agostino di Castel Sant'Angelo come oblato, cioè ancora senza obblighi e voti. Più tardi entrò nell'ordine e nel 1274 venne ordinato sacerdote a Cingoli. La comunità agostiniana di Tolentino diventò la sua «casa madre» e suo campo di lavoro il territorio marchigiano con i vari conventi dell'Ordine, che lo accoglievano nell'itinerario di predicatore. Dedicava buona parte della sua giornata a lunghe preghiere e digiuni. Un asceta che diffondeva sorriso, un penitente che metteva allegria. Lo sentivano predicare, lo ascoltavano in confessione o negli incontri occasionali, ed era sempre così: veniva da otto-dieci ore di preghiera, dal digiuno a pane e acqua, ma aveva parole che spargevano sorriso. Molti venivano da lontano a confessargli ogni sorta di misfatti, e andavano via arricchiti dalla sua fiducia gioiosa. Sempre accompagnato da voci di miracoli, nel 1275 si stabilì a Tolentino dove resterà fino alla morte il 10 settembre 1305.
Etimologia: Nicola = vincidore del popolo, dal greco
Emblema: Cesto di pane, Pane, Stella
Martirologio Romano: A Tolentino nelle Marche, san Nicola, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che, dedito a una severa astinenza e assiduo nella preghiera, fu severo con se stesso, ma clemente con gli altri, e spesso imponeva a sé le penitenze altrui.
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martedì 8 settembre 2020
08 SETTEMBRE - NATIVITA' DI MARIA
Natività della Beata Vergine Maria
8 settembre
Questa celebrazione, che ricalca sul Cristo le prerogative della Madre, è stata introdotta dal papa Sergio I (sec VII) nel solco della tradizione orientale. La natività della Vergine è strettamente legata alla venuta del Messia, come promessa, preparazione e frutto della salvezza. Aurora che precede il sole di giustizia, Maria preannunzia a tutto il mondo la gioia del Salvatore. (Mess. Rom.)
Martirologio Romano: Festa della Natività della Beata Vergine Maria, nata dalla discendenza di Abramo, della tribù di Giuda, della stirpe del re Davide, dalla quale è nato il Figlio di Dio fatto uomo per opera dello Spirito Santo per liberare gli uomini dall’antica schiavitù del peccato.
8 settembre
Questa celebrazione, che ricalca sul Cristo le prerogative della Madre, è stata introdotta dal papa Sergio I (sec VII) nel solco della tradizione orientale. La natività della Vergine è strettamente legata alla venuta del Messia, come promessa, preparazione e frutto della salvezza. Aurora che precede il sole di giustizia, Maria preannunzia a tutto il mondo la gioia del Salvatore. (Mess. Rom.)
Martirologio Romano: Festa della Natività della Beata Vergine Maria, nata dalla discendenza di Abramo, della tribù di Giuda, della stirpe del re Davide, dalla quale è nato il Figlio di Dio fatto uomo per opera dello Spirito Santo per liberare gli uomini dall’antica schiavitù del peccato.
lunedì 7 settembre 2020
07 SETTEMBRE 2020 - CIAO FABIO!
venerdì 4 settembre 2020
04 SETTEMBRE - MEMORIE SENZA TEMPO - AUGUSTO ELIA
Augusto Elia (Ancona, 4 settembre 1829 – Roma, 9 febbraio 1919) è stato un patriota, militare e politico italiano.
Nacque ad Ancona il 4 settembre 1829 da Antonio e da Maddalena Pelosi, in una famiglia dedita da molte generazioni ad attività marinaresche. Continuando la tradizione del nonno Sante e del padre Antonio fu avviato anch'egli giovanissimo alla vita di mare, al seguito del padre. Questi, patriota risorgimentale, aderente alla Carboneria e alla Giovine Italia, fu devoto amico di Giuseppe Garibaldi, che aveva conosciuto verso il 1834 a Marsiglia. Il Generale era rimasto colpito dalle sue gesta contro i corsari in Adriatico, poi narrate da Garibaldi nel suo romanzo "Cantoni il Volontario", in cui inserì un capitolo dedicato alla eroica impresa di Antonio, quando questi riuscì, assieme al capitano Giovanni Battista Dal Monte, a liberare il “pielego” o “trabaccolo” "L'Aurora" sul quale egli era imbarcato in qualità di mozzo, dai pirati barbareschi che l'avevano abbordato e occupato. Tra Antonio Elia e l'Eroe dei due mondi nacque subito un'ammirazione reciproca che creò un forte legame tra i due, accomunati dall'amore per il mare e per la libertà. Antonio restò amico di Garibaldi e suo sostenitore per tutta la vita.
Nacque ad Ancona il 4 settembre 1829 da Antonio e da Maddalena Pelosi, in una famiglia dedita da molte generazioni ad attività marinaresche. Continuando la tradizione del nonno Sante e del padre Antonio fu avviato anch'egli giovanissimo alla vita di mare, al seguito del padre. Questi, patriota risorgimentale, aderente alla Carboneria e alla Giovine Italia, fu devoto amico di Giuseppe Garibaldi, che aveva conosciuto verso il 1834 a Marsiglia. Il Generale era rimasto colpito dalle sue gesta contro i corsari in Adriatico, poi narrate da Garibaldi nel suo romanzo "Cantoni il Volontario", in cui inserì un capitolo dedicato alla eroica impresa di Antonio, quando questi riuscì, assieme al capitano Giovanni Battista Dal Monte, a liberare il “pielego” o “trabaccolo” "L'Aurora" sul quale egli era imbarcato in qualità di mozzo, dai pirati barbareschi che l'avevano abbordato e occupato. Tra Antonio Elia e l'Eroe dei due mondi nacque subito un'ammirazione reciproca che creò un forte legame tra i due, accomunati dall'amore per il mare e per la libertà. Antonio restò amico di Garibaldi e suo sostenitore per tutta la vita.
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giovedì 3 settembre 2020
03 SETTEMBRE - MEMORIE SENZA TEMPO - ANTONIO ELIA
Antonio Elia (Ancona, 3 settembre 1803 – Ancona, 25 luglio 1849) è stato un marinaio e patriota italiano.
Nacque ad Ancona il 3 settembre 1803 da Sante e da Caterina Blasi, in una famiglia dedita da molte generazioni ad attività marinaresche. Continuando la tradizione del nonno Andrea e del padre Sante fu avviato anch'egli, all'età di quattordici anni, alla vita di mare, alla quale spirito di avventura, coraggio e resistenza fisica lo rendevano particolarmente adatto
Venuto a contatto durante i suoi viaggi con esponenti della Carboneria, Elia aderì a questa società segreta nel 1829. Attento all'evoluzione della situazione politica, partecipò ai moti insurrezionali scoppiati nello Stato pontificio nel 1831. Poco tempo dopo si iscrisse alla Giovine Italia, istituita ad Ancona il 1º marzo 1832.
Frattanto si era sposato con Maddalena Pelosi, da cui ebbe sette figli, due maschi e cinque femmine. Il maggiore era Augusto, nato nel 1829 ed avviato alla vita marinaresca sin da fanciullo al seguito del padre. Nacquero poi Maria, Filomena, Teresa, Marianna, Nazzareno, che morì in fasce, e Giuseppa, nata alcune settimane dopo la morte del padre e morta durante la fanciullezza, a nove anni.
Avanzò nella sua carriera passando da marinaio semplice a nostromo. Veniva acquistando sempre maggiore autorità presso la gente di mare; capeggiò tra l'altro una vittoriosa agitazione di natura rivendicativa contro gli armatori.
L'impegno durante l'assedio austriaco alla città
Il 25 maggio 1849 le truppe austriache del generale Franz von Wimpffen posero Ancona in stato di assedio: Ancona - unico centro che rimaneva alla Repubblica Romana sul litorale adriatico per ritardare la marcia austriaca su Roma - era considerata “piazzaforte di molta importanza strategica” non solo per il governo del triunvirato, ma anche per gli austriaci che, occupandola, avrebbero potuto intercettare aiuti e rifornimenti per Venezia, affrettando così la sua resa.
La città era una piazzaforte ben munita, ma difesa da appena quattromila soldati volontari, provenienti da varie regioni d'Italia, guidati dal coraggioso Livio Zambeccari. L'attacco da terra e da mare cominciò il 27 maggio. Antonio e suo figlio Augusto ebbero una parte di rilievo nella difesa della città. Antonio era imbarcato come nostromo sul vapore nazionale "Roma", con Augusto in qualità di timoniere, e Raffaele Castagnola comandante; essi il 5 giugno 1849 catturarono una lancia austriaca senza bandiera. La città, in stato d'assedio, trovò in Antonio uno dei suoi più strenui difensori, anche contro il parere del fratello Pietro, che vedeva la situazione farsi sempre più difficile. Raccontò Augusto che durante l'assedio vi era "tutti i giorni un combattimento; sui forti, sui baluardi, sulle barricate, all'aperto". Secondo il Santini, "la marina mercantile anconitana della quale era a capo Antonio Elia fece nella difesa del patrio suolo bravamente il suo dovere". Il 16 giugno, ventitreesimo giorno di combattimenti, gli assediati erano ormai allo stremo. Antonio contribuì notevolmente al mantenimento della disciplina fra gli assediati, sedando un'insurrezione fra i venti cannonieri della Lanterna, dove si trovava dislocato il fratello Fortunato, contro il capitano Costa, che voleva mandare gli artiglieri di marina ai forti per il cambio della difesa terrestre, mentre la situazione avrebbe richiesto invece nuovi e più prestanti rinforzi alla batteria della Lanterna. Vi era inoltre un grande malumore a causa della diminuzione del soldo, che per altro essi già ricevevano non in contante, ma in una sorta di credito cartaceo. Il giorno successivo la città, esausta per i bombardamenti delle ultime quarantott'ore, fu costretta, anche contro il parere di molti, a cedere. Elia fu tra i promotori di una manifestazione popolare che invitava i cittadini ad una difesa ad oltranza: "Nessuno parlò di resa e nemmeno il popolo, il quale capitanato dal patriotta Antonio Elia, acclamava in pubblica dimostrazione alla resistenza…". Ma la situazione era ormai compromessa e la città, priva delle forze che le sarebbero state necessarie per resistere ancora, si arrese. Così, dopo dopo 24 giorni di assedio, due settimane di bombardamenti e vari episodi di eroismo (che fecero conquistare alla città, una volta entrata nel Regno d'Italia, la medaglia d'oro come "benemerita del Risorgimento nazionale" nel 1898) , il 17 giugno Zambeccari accettò la proposta di resa avanzata dal Wimpffen, che venne firmata il 19. I compagni di Antonio, tra i quali il poeta Barattani ed il figlio Augusto, temevano per la sua vita, in quanto era un personaggio scomodo, perché di grande ascendente sulle masse popolari, nonché fortemente compromesso dai suoi mai nascosti trascorsi carbonari e repubblicani, e lo invitarono e fuggire a Corfù su un bastimento anconetano battente bandiera inglese fatto approntare dal patriota Nicola Novelli, assieme ad altri che non si reputavano sicuri nel restare in Italia. Egli, sottovalutando i rischi ai quali andava incontro, rifiutò decisamente una fuga che riteneva del tutto inutile e anzi dannosa per il bene della sua famiglia, per la quale era fortemente preoccupato, anche per lo stato di avanzata gravidanza della moglie. Scrisse Augusto: "….rispondeva di avere la coscienza tranquilla, di nulla avere a temere, non volere quindi volontariamente abbandonare la patria e la famiglia, e restò".
Il 21 giugno i difensori della città consegnarono la Cittadella ed i forti e furono salutati dai vincitori con l'onore delle armi; e, finché il Wimpffen fu comandante della guarnigione di occupazione della città, non ci furono atti di persecuzione nei confronti dei patrioti.
Quando un mese dopo l’occupazione fu nominato un nuovo capo della guarnigione, Antonio, ritenuto un personaggio scomodo e pericoloso, venne arrestato con un pretesto. Secondo il figlio Augusto, "era necessario dare un terribile esempio alla popolazione, applicando la legge stataria su uno dei capi del popolo". Considerato, dunque, il soggetto ideale da punire, per cancellare qualsivoglia velleità di ribellione potesse ancora albergare negli animi degli anconetani, fu fatto oggetto di una denuncia anonima, forse creata ad arte, che lo diceva possessore di un'arma da taglio. Secondo il Costantini sulla vicenda di Antonio Elia "si fece in Ancona un gran discorrere e si formò la convinzione che egli fosse la vittima di una delle tante denunce anonime, che l'onesto Wimpffen dispregiava, ma che il suo successore accettava e coltivava". Pertanto, nella notte del 20 luglio 1849 la sua abitazione fu circondata da gendarmi papalini e soldati austriaci e perquisita: in casa non si trovò nulla di compromettente, ma nel condotto di una latrina che serviva la sua come altre tre abitazioni fu rinvenuta un'arma di incerta provenienza e ciò bastò per farlo arrestare. Dopo un processo sommario, Antonio Elia venne condannato a morte.
Nacque ad Ancona il 3 settembre 1803 da Sante e da Caterina Blasi, in una famiglia dedita da molte generazioni ad attività marinaresche. Continuando la tradizione del nonno Andrea e del padre Sante fu avviato anch'egli, all'età di quattordici anni, alla vita di mare, alla quale spirito di avventura, coraggio e resistenza fisica lo rendevano particolarmente adatto
Venuto a contatto durante i suoi viaggi con esponenti della Carboneria, Elia aderì a questa società segreta nel 1829. Attento all'evoluzione della situazione politica, partecipò ai moti insurrezionali scoppiati nello Stato pontificio nel 1831. Poco tempo dopo si iscrisse alla Giovine Italia, istituita ad Ancona il 1º marzo 1832.
Frattanto si era sposato con Maddalena Pelosi, da cui ebbe sette figli, due maschi e cinque femmine. Il maggiore era Augusto, nato nel 1829 ed avviato alla vita marinaresca sin da fanciullo al seguito del padre. Nacquero poi Maria, Filomena, Teresa, Marianna, Nazzareno, che morì in fasce, e Giuseppa, nata alcune settimane dopo la morte del padre e morta durante la fanciullezza, a nove anni.
Avanzò nella sua carriera passando da marinaio semplice a nostromo. Veniva acquistando sempre maggiore autorità presso la gente di mare; capeggiò tra l'altro una vittoriosa agitazione di natura rivendicativa contro gli armatori.
L'impegno durante l'assedio austriaco alla città
Il 25 maggio 1849 le truppe austriache del generale Franz von Wimpffen posero Ancona in stato di assedio: Ancona - unico centro che rimaneva alla Repubblica Romana sul litorale adriatico per ritardare la marcia austriaca su Roma - era considerata “piazzaforte di molta importanza strategica” non solo per il governo del triunvirato, ma anche per gli austriaci che, occupandola, avrebbero potuto intercettare aiuti e rifornimenti per Venezia, affrettando così la sua resa.
La città era una piazzaforte ben munita, ma difesa da appena quattromila soldati volontari, provenienti da varie regioni d'Italia, guidati dal coraggioso Livio Zambeccari. L'attacco da terra e da mare cominciò il 27 maggio. Antonio e suo figlio Augusto ebbero una parte di rilievo nella difesa della città. Antonio era imbarcato come nostromo sul vapore nazionale "Roma", con Augusto in qualità di timoniere, e Raffaele Castagnola comandante; essi il 5 giugno 1849 catturarono una lancia austriaca senza bandiera. La città, in stato d'assedio, trovò in Antonio uno dei suoi più strenui difensori, anche contro il parere del fratello Pietro, che vedeva la situazione farsi sempre più difficile. Raccontò Augusto che durante l'assedio vi era "tutti i giorni un combattimento; sui forti, sui baluardi, sulle barricate, all'aperto". Secondo il Santini, "la marina mercantile anconitana della quale era a capo Antonio Elia fece nella difesa del patrio suolo bravamente il suo dovere". Il 16 giugno, ventitreesimo giorno di combattimenti, gli assediati erano ormai allo stremo. Antonio contribuì notevolmente al mantenimento della disciplina fra gli assediati, sedando un'insurrezione fra i venti cannonieri della Lanterna, dove si trovava dislocato il fratello Fortunato, contro il capitano Costa, che voleva mandare gli artiglieri di marina ai forti per il cambio della difesa terrestre, mentre la situazione avrebbe richiesto invece nuovi e più prestanti rinforzi alla batteria della Lanterna. Vi era inoltre un grande malumore a causa della diminuzione del soldo, che per altro essi già ricevevano non in contante, ma in una sorta di credito cartaceo. Il giorno successivo la città, esausta per i bombardamenti delle ultime quarantott'ore, fu costretta, anche contro il parere di molti, a cedere. Elia fu tra i promotori di una manifestazione popolare che invitava i cittadini ad una difesa ad oltranza: "Nessuno parlò di resa e nemmeno il popolo, il quale capitanato dal patriotta Antonio Elia, acclamava in pubblica dimostrazione alla resistenza…". Ma la situazione era ormai compromessa e la città, priva delle forze che le sarebbero state necessarie per resistere ancora, si arrese. Così, dopo dopo 24 giorni di assedio, due settimane di bombardamenti e vari episodi di eroismo (che fecero conquistare alla città, una volta entrata nel Regno d'Italia, la medaglia d'oro come "benemerita del Risorgimento nazionale" nel 1898) , il 17 giugno Zambeccari accettò la proposta di resa avanzata dal Wimpffen, che venne firmata il 19. I compagni di Antonio, tra i quali il poeta Barattani ed il figlio Augusto, temevano per la sua vita, in quanto era un personaggio scomodo, perché di grande ascendente sulle masse popolari, nonché fortemente compromesso dai suoi mai nascosti trascorsi carbonari e repubblicani, e lo invitarono e fuggire a Corfù su un bastimento anconetano battente bandiera inglese fatto approntare dal patriota Nicola Novelli, assieme ad altri che non si reputavano sicuri nel restare in Italia. Egli, sottovalutando i rischi ai quali andava incontro, rifiutò decisamente una fuga che riteneva del tutto inutile e anzi dannosa per il bene della sua famiglia, per la quale era fortemente preoccupato, anche per lo stato di avanzata gravidanza della moglie. Scrisse Augusto: "….rispondeva di avere la coscienza tranquilla, di nulla avere a temere, non volere quindi volontariamente abbandonare la patria e la famiglia, e restò".
Il 21 giugno i difensori della città consegnarono la Cittadella ed i forti e furono salutati dai vincitori con l'onore delle armi; e, finché il Wimpffen fu comandante della guarnigione di occupazione della città, non ci furono atti di persecuzione nei confronti dei patrioti.
Quando un mese dopo l’occupazione fu nominato un nuovo capo della guarnigione, Antonio, ritenuto un personaggio scomodo e pericoloso, venne arrestato con un pretesto. Secondo il figlio Augusto, "era necessario dare un terribile esempio alla popolazione, applicando la legge stataria su uno dei capi del popolo". Considerato, dunque, il soggetto ideale da punire, per cancellare qualsivoglia velleità di ribellione potesse ancora albergare negli animi degli anconetani, fu fatto oggetto di una denuncia anonima, forse creata ad arte, che lo diceva possessore di un'arma da taglio. Secondo il Costantini sulla vicenda di Antonio Elia "si fece in Ancona un gran discorrere e si formò la convinzione che egli fosse la vittima di una delle tante denunce anonime, che l'onesto Wimpffen dispregiava, ma che il suo successore accettava e coltivava". Pertanto, nella notte del 20 luglio 1849 la sua abitazione fu circondata da gendarmi papalini e soldati austriaci e perquisita: in casa non si trovò nulla di compromettente, ma nel condotto di una latrina che serviva la sua come altre tre abitazioni fu rinvenuta un'arma di incerta provenienza e ciò bastò per farlo arrestare. Dopo un processo sommario, Antonio Elia venne condannato a morte.
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03 SETTEMBRE - AUGURI UOMOBIONICO
mercoledì 2 settembre 2020
02 SETTEMBRE - SANT' ANTONINO DI APAMEA
S. Antonino di Apamea patrono di Polverigi
Antonino di Apamea (Siria, I secolo – Siria, I secolo) fu un martire cristiano, venerato dalla Chiesa cattolica come santo e ricordato il 2 settembre.
Originario di Aribazo in Siria, secondo la tradizione faceva lo scalpellino di professione. Si insediò in una località vicino Apamea di Siria, antica città posta sul fiume Oronte, rimproverò i pagani che adoravano i loro idoli, frantumando gli idoli, provocando così l'ira dei pagani, che lo percossero. Il vescovo di Apamea gli chiese di costruire una chiesa in onore della SS. Trinità, ma dopo aver iniziato il lavoro fu assalito dai pagani che l'uccisero a soli vent'anni. Il corpo di Antonino fu smembrato e poi sepolto in una caverna ad Apamea, il vescovo della città fece costruire sulla stessa caverna, una basilica a lui dedicata, che fu poi distrutta da Cosroe II re di Persia nel VII secolo; questa basilica era già nota nel 518, menzionata negli atti di un Concilio della Siria.
02 SETTEMBRE - AUGURI SILVY
martedì 1 settembre 2020
01 SETTEMBRE - MADONNA DI MONTEVERGINE
Madonna di Montevergine
1 settembre
A quasi 1300 metri di altezza, nella catena del Partenio, nell’Appennino irpino, tra vette gigantesche che formano autentici baluardi dell’altopiano, sorge il più famoso santuario dell’Italia Meridionale, sul posto che ai tempi del grande poeta latino Virgilio, sorgeva un tempietto dedicato a Cibele, dea della natura e della fecondità.
Virgilio che era un intenditore, salì varie volte su questo altopiano che porta il suo nome, lasciando i suoi impegni a Napoli, per trovare le pianticelle aromatiche per distillare gli elisir di lunga vita, che poi nei secoli successivi e ancora oggi, i frati produssero distillando i liquori benedettini tipici del luogo.
Non era facile arrampicarsi lassù su quei monti dell’Irpinia, ma alle dovute soste per riposarsi, ci si poteva ritemprare lo spirito con le vedute mozzafiato che da lì si ammiravano, dal Vesuvio, alla vicina Avellino, l’intero golfo di Napoli con le meravigliose isole di Capri, Ischia, Procida e poi la vasta pianura della fertile Campania.
Nei primi anni del 1000, arrivò su questa montagna un giovane pellegrino diretto in Palestina, ma per volere di Dio dirottato qui, Guglielmo da Vercelli.
Con addosso un saio visitò i Santuari dell’Italia settentrionale, poi andò in Spagna a S. Giacomo di Compostella e al suo ritorno decise di percorrere tutta la penisola per andare in Terrasanta; ma proprio quassù Gesù gli apparve dicendogli di fermarsi e di erigere un tempio alla Vergine al posto di quello dedicato alla Gran Madre pagana.
Guglielmo non era di carattere facile e dopo aver distrutto il preesistente tempio con l’idolo, si impose a vescovi e papi, per mettere in atto il suo intento e costruì una piccola chiesa alla Vergine Maria. Fondò una Organizzazione monastica germogliata dal tronco benedettino che chiamò Congregazione Verginiana; la fama di questi eremiti - monaci si sparse in tutta l’Italia Meridionale e Sicilia.
San Guglielmo espose nella chiesetta alla venerazione dei fedeli, una piccola immagine della Madonna, che negli ultimi decenni del XII secolo fu sostituita da una bellissima tavola, dove la Vergine appare incoronata e in atto di allattare il Bambino, questa tavola è conservata nel museo del Santuario ed è detta ‘Madonna di s. Guglielmo’. Il santo monaco fondatore si spense probabilmente il 25 giugno del 1142 nel monastero di S. Salvatore in Goleto (AV), mentre i primi pellegrini salivano il monte Partenio, sempre più numerosi.
Ben presto Montevergine diventò la casa madre di 50 piccoli monasteri che erano stati via via fondati, poté così imporre la realtà della propria esistenza ai papi ed ai re di Napoli, chiedendo la propria indipendenza.
I re normanni ed angioini fecero a gara a dare all’abbazia, sorta vicino alla chiesetta, una autosufficienza economica, esentandola da tributi e donandole feudi e un castello per l’abate.
Sotto gli angioini (1266-1435) la chiesa di stile romanico fu trasformata notevolmente nelle strutture ed ampliata in stile gotico, con altare maggiore cosmatesco e a tre ordini di colonne.
La tavola della Madonna fu sostituita intorno al 1300 da una immagine imponente, su una tavola di notevoli proporzioni, rappresentante la Madonna, che prenderà il titolo di Montevergine, seduta su una grande seggiola, con il Bambino sulle ginocchia.
L’icona giunse a Montevergine circondata da leggenda e devozione; si diceva dipinta addirittura da s. Luca, che aveva conosciuta la Madonna e aveva osato ritrarla, egli sarebbe soltanto l’autore del capo, ma sgomento non aveva finito il viso; addormentatosi, l’aveva trovato completato il mattino dopo da misterioso intervento celeste. Il quadro sarebbe stato prima esposto a Gerusalemme, poi trasferito ad Antiochia, poi a Costantinopoli, infine a Napoli, qui finì nelle mani di Caterina II sposa di Filippo di Taranto, la quale lo fece completare, si dice, da Montano d’Arezzo e lo donò al Santuario di Montevergine.
Studi espletati nei secoli successivi, hanno escluso la pittura sia di s. Luca che di Montano d’Arezzo, attribuendo l’esecuzione dell’opera a Pietro Cavallino dei Cerroni, pittore di corte di Carlo II d’Angiò, che l’avrebbe dipinta fra il 1270 e il 1325, egli era portato per le opere di grandi dimensioni, infatti il quadro del santuario misura metri 4,60 x 2,10 e pesa otto quintali, con linee bizantineggianti e con intonazione personale proprio dello stile del Cavallino.
Al popolo non è mai interessato chi l’avesse dipinta, essa piacque subito e nella semplicità della fede che gli venne tributata, la chiamarono la “Madonna Bruna” o anche “Mamma Schiavona”, etimologia incerta ma di sicura presa.. C’è tutta una letteratura descrittiva dei pellegrinaggi a Montevergine, con quadri e disegni di illustri viaggiatori che ne descrivevano il folklore, specie per quelli provenienti da Napoli; su carretti addobbati con cavalli e i suoni e feste che accompagnavano il ritorno; fino agli anni ’60 del nostro secolo i carretti erano stati sostituiti da auto decappottabili, tutte addobbate, come i pellegrini compreso l’autista noleggiatore, vestivano abiti uguali e tutti dello stesso colore sgargiante degli addobbi dell’auto.
Oggi si sale con una comoda funicolare e con un agevole strada per auto e i bus; i pellegrini sono calcolati sul milione e mezzo ogni anno. Ma i pellegrinaggi veri e propri che si fanno da secoli, sono a piedi, salendo il monte anche di notte, molti a piedi nudi, per penitenza o per chiedere una grazia per sé o per i suoi cari.
Per secoli sotto l’altare maggiore del Santuario furono custodite le reliquie di s. Gennaro, finché vinte la resistenze dei monaci e dei fedeli locali, esse poterono essere trasferite nel duomo di Napoli.
Il Santuario ebbe ancora due rifacimenti, uno nel 1622 per ragioni statiche e di moda, con trasformazioni barocche e l’altro a partire dal 1948 fino al 1961, quando ci fu l’intera costruzione di un santuario più grande, inglobando però la precedente struttura.
L’enorme quadro della Madonna è posto sulla parete di fondo su un nuovo trono che prende tutta l’altezza della parete. Interessante la sala degli ex-voto, dove già dal 1599 erano raccolte le tabelle votive, scolpite o dipinte raffiguranti le grazie che si era ricevuto, quasi tutte in argento; testimonianza storica di una fede ormai millenaria nella Madre celeste.
Nella cripta vi sono in un’urna d’argento, i resti di s. Guglielmo di Vercelli fondatore, nelle due basiliche la vecchia e la nuova vi sono le tombe di vari principi, nobili, ecclesiastici, che nei secoli hanno voluto riposare accanto alla Madonna di Montevergine.
Ai piedi del monte vi è il palazzo abbaziale di Loreto del 1700, residenza d’inverno dell’abate e di quasi tutti i monaci, spostamento dovuto al clima molto rigido ed alla neve del periodo invernale. Nel palazzo è ospitata la farmacia con una importante raccolta di vasi e l’archivio con incunaboli e novecento pergamene, molte scritte da re e pontefici, alcune risalenti all’epoca di s. Guglielmo.
1 settembre
A quasi 1300 metri di altezza, nella catena del Partenio, nell’Appennino irpino, tra vette gigantesche che formano autentici baluardi dell’altopiano, sorge il più famoso santuario dell’Italia Meridionale, sul posto che ai tempi del grande poeta latino Virgilio, sorgeva un tempietto dedicato a Cibele, dea della natura e della fecondità.
Virgilio che era un intenditore, salì varie volte su questo altopiano che porta il suo nome, lasciando i suoi impegni a Napoli, per trovare le pianticelle aromatiche per distillare gli elisir di lunga vita, che poi nei secoli successivi e ancora oggi, i frati produssero distillando i liquori benedettini tipici del luogo.
Non era facile arrampicarsi lassù su quei monti dell’Irpinia, ma alle dovute soste per riposarsi, ci si poteva ritemprare lo spirito con le vedute mozzafiato che da lì si ammiravano, dal Vesuvio, alla vicina Avellino, l’intero golfo di Napoli con le meravigliose isole di Capri, Ischia, Procida e poi la vasta pianura della fertile Campania.
Nei primi anni del 1000, arrivò su questa montagna un giovane pellegrino diretto in Palestina, ma per volere di Dio dirottato qui, Guglielmo da Vercelli.
Con addosso un saio visitò i Santuari dell’Italia settentrionale, poi andò in Spagna a S. Giacomo di Compostella e al suo ritorno decise di percorrere tutta la penisola per andare in Terrasanta; ma proprio quassù Gesù gli apparve dicendogli di fermarsi e di erigere un tempio alla Vergine al posto di quello dedicato alla Gran Madre pagana.
Guglielmo non era di carattere facile e dopo aver distrutto il preesistente tempio con l’idolo, si impose a vescovi e papi, per mettere in atto il suo intento e costruì una piccola chiesa alla Vergine Maria. Fondò una Organizzazione monastica germogliata dal tronco benedettino che chiamò Congregazione Verginiana; la fama di questi eremiti - monaci si sparse in tutta l’Italia Meridionale e Sicilia.
San Guglielmo espose nella chiesetta alla venerazione dei fedeli, una piccola immagine della Madonna, che negli ultimi decenni del XII secolo fu sostituita da una bellissima tavola, dove la Vergine appare incoronata e in atto di allattare il Bambino, questa tavola è conservata nel museo del Santuario ed è detta ‘Madonna di s. Guglielmo’. Il santo monaco fondatore si spense probabilmente il 25 giugno del 1142 nel monastero di S. Salvatore in Goleto (AV), mentre i primi pellegrini salivano il monte Partenio, sempre più numerosi.
Ben presto Montevergine diventò la casa madre di 50 piccoli monasteri che erano stati via via fondati, poté così imporre la realtà della propria esistenza ai papi ed ai re di Napoli, chiedendo la propria indipendenza.
I re normanni ed angioini fecero a gara a dare all’abbazia, sorta vicino alla chiesetta, una autosufficienza economica, esentandola da tributi e donandole feudi e un castello per l’abate.
Sotto gli angioini (1266-1435) la chiesa di stile romanico fu trasformata notevolmente nelle strutture ed ampliata in stile gotico, con altare maggiore cosmatesco e a tre ordini di colonne.
La tavola della Madonna fu sostituita intorno al 1300 da una immagine imponente, su una tavola di notevoli proporzioni, rappresentante la Madonna, che prenderà il titolo di Montevergine, seduta su una grande seggiola, con il Bambino sulle ginocchia.
L’icona giunse a Montevergine circondata da leggenda e devozione; si diceva dipinta addirittura da s. Luca, che aveva conosciuta la Madonna e aveva osato ritrarla, egli sarebbe soltanto l’autore del capo, ma sgomento non aveva finito il viso; addormentatosi, l’aveva trovato completato il mattino dopo da misterioso intervento celeste. Il quadro sarebbe stato prima esposto a Gerusalemme, poi trasferito ad Antiochia, poi a Costantinopoli, infine a Napoli, qui finì nelle mani di Caterina II sposa di Filippo di Taranto, la quale lo fece completare, si dice, da Montano d’Arezzo e lo donò al Santuario di Montevergine.
Studi espletati nei secoli successivi, hanno escluso la pittura sia di s. Luca che di Montano d’Arezzo, attribuendo l’esecuzione dell’opera a Pietro Cavallino dei Cerroni, pittore di corte di Carlo II d’Angiò, che l’avrebbe dipinta fra il 1270 e il 1325, egli era portato per le opere di grandi dimensioni, infatti il quadro del santuario misura metri 4,60 x 2,10 e pesa otto quintali, con linee bizantineggianti e con intonazione personale proprio dello stile del Cavallino.
Al popolo non è mai interessato chi l’avesse dipinta, essa piacque subito e nella semplicità della fede che gli venne tributata, la chiamarono la “Madonna Bruna” o anche “Mamma Schiavona”, etimologia incerta ma di sicura presa.. C’è tutta una letteratura descrittiva dei pellegrinaggi a Montevergine, con quadri e disegni di illustri viaggiatori che ne descrivevano il folklore, specie per quelli provenienti da Napoli; su carretti addobbati con cavalli e i suoni e feste che accompagnavano il ritorno; fino agli anni ’60 del nostro secolo i carretti erano stati sostituiti da auto decappottabili, tutte addobbate, come i pellegrini compreso l’autista noleggiatore, vestivano abiti uguali e tutti dello stesso colore sgargiante degli addobbi dell’auto.
Oggi si sale con una comoda funicolare e con un agevole strada per auto e i bus; i pellegrini sono calcolati sul milione e mezzo ogni anno. Ma i pellegrinaggi veri e propri che si fanno da secoli, sono a piedi, salendo il monte anche di notte, molti a piedi nudi, per penitenza o per chiedere una grazia per sé o per i suoi cari.
Per secoli sotto l’altare maggiore del Santuario furono custodite le reliquie di s. Gennaro, finché vinte la resistenze dei monaci e dei fedeli locali, esse poterono essere trasferite nel duomo di Napoli.
Il Santuario ebbe ancora due rifacimenti, uno nel 1622 per ragioni statiche e di moda, con trasformazioni barocche e l’altro a partire dal 1948 fino al 1961, quando ci fu l’intera costruzione di un santuario più grande, inglobando però la precedente struttura.
L’enorme quadro della Madonna è posto sulla parete di fondo su un nuovo trono che prende tutta l’altezza della parete. Interessante la sala degli ex-voto, dove già dal 1599 erano raccolte le tabelle votive, scolpite o dipinte raffiguranti le grazie che si era ricevuto, quasi tutte in argento; testimonianza storica di una fede ormai millenaria nella Madre celeste.
Nella cripta vi sono in un’urna d’argento, i resti di s. Guglielmo di Vercelli fondatore, nelle due basiliche la vecchia e la nuova vi sono le tombe di vari principi, nobili, ecclesiastici, che nei secoli hanno voluto riposare accanto alla Madonna di Montevergine.
Ai piedi del monte vi è il palazzo abbaziale di Loreto del 1700, residenza d’inverno dell’abate e di quasi tutti i monaci, spostamento dovuto al clima molto rigido ed alla neve del periodo invernale. Nel palazzo è ospitata la farmacia con una importante raccolta di vasi e l’archivio con incunaboli e novecento pergamene, molte scritte da re e pontefici, alcune risalenti all’epoca di s. Guglielmo.
01 SETTEMBRE 2020 - AUGURI GIORGIO T.
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