sabato 30 dicembre 2023

30 DICEMBRE - SAN JEAN PIERRE MEDAILLE

Fondatore dell'ordine delle suore di San Giuseppe.



Jean Pierre Médaille nacque a Carcassonne il 6 ottobre 1610. Entrato molto giovane nel collegio dei Gesuiti della sua città e compiuta la formazione a Tolosa, esercitò il suo ministero in diversi collegi e fu missionario itinerante in varie diocesi. Fu stimato come predicatore zelante e sapiente conoscitore dell’animo umano, considerato “il santo” e “l’apostolo”.


Il Padre, dopo aver affidato al Vescovo di Le Puy la sua congregazione, continuò a seguire le suore scrivendo per loro i testi che contengono la loro spiritualità e dando consigli per via epistolare dai luoghi dove fu trasferito quasi subito per le missioni al popolo. Egli non aveva tanto tempo per tornare presso le comunità da poco fondate e seguire da vicino gli inizi del loro cammino. P. Médaille, fondatore affascinato dall’Eucaristia, volle essere pane spezzato che nutre e scompare. Desiderando di vivere per primo ciò che aveva posto come fondamento al suo Istituto religioso, non cercò né considerazione né prestigio né fama, che avrebbero potuto renderlo “grande” e venerato, ma visse in intima unione con Cristo, nell’umiltà e nel continuo dono di sé. Consumate le forze nel suo ministero apostolico, egli che era sempre stato gracile morì nel collegio di Billom il 30 dicembre 1669.

giovedì 28 dicembre 2023

28 DICEMBRE - DETTI ANCONETANI - IL CA DE LUZI

 Fà la fine del ca' de Luzi 




 Fare la fine del cane di Luzi (subire varie disgrazie una di seguito all'altra). L'uso di questa espressione deriva da un curioso episodio: il cane di un sarto, certo Enrico Luzi, dal balcone del primo piano dove era tenuto, lungo Corso Carlo Alberto, un giorno cadde in strada. Rimbalzando sul tendone del negozio sottostante, ancora incolume, rimbalzò sul tetto del tram fermo, per poi cadere su un calesse e successivamente finire sulle rotaie del tram che proveniva dalla direzione opposta. 

mercoledì 27 dicembre 2023

27 DICEMBRE - SAN GIOVANNI APOSTOLO

San Giovanni Apostolo ed evangelista
27 dicembre




Betsaida Iulia, I secolo - Efeso, 104 ca.
L'autore del quarto Vangelo e dell'Apocalisse, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo maggiore, venne considerato dal Sinedrio un «incolto». In realtà i suoi scritti sono una vetta della teologia cristiana. La sua propensione più alla contemplazione che all'azione non deve farlo credere, però, una figura "eterea". Si pensi al soprannome con cui Gesù - di cui fu discepolo tra i Dodici - chiamò lui e il fratello: «figli del tuono». Lui si definisce semplicemente «il discepolo che Gesù amava». Assistette alla Passione con Maria. E con lei, dice la tradizione, visse a Efeso. Qui morì tra fine del I e inizio del II secolo, dopo l'esilio a Patmos. Per Paolo era una «colonna» della Chiesa, con Pietro e Giacomo. (Avvenire)
Patronato: Scrittori, Editori, Teologi

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Emblema: Aquila, Calderone d'olio bollente, Coppa

Martirologio Romano: Festa di san Giovanni, Apostolo ed Evangelista, che, figlio di Zebedeo, fu insieme al fratello Giacomo e a Pietro testimone della trasfigurazione e della passione del Signore, dal quale ricevette stando ai piedi della croce Maria come madre. Nel Vangelo e in altri scritti si dimostra teologo, che, ritenuto degno di contemplare la gloria del Verbo incarnato, annunciò ciò che vide con i propri occhi.

27 DICEMBRE - NATALUCCI DON MARIO

Mario Natalucci,
detto "Babilò" (Castelferretti, 3 giugno 1903 – Ancona, 27 dicembre 1980), è stato uno storico italiano.



Laureato in lettere all'università degli Studi di Roma "La Sapienza" nel 1932, torna in Ancona per svolgere la professione di insegnante, in particolare fu preside del liceo Carlo Rinaldini e del liceo Luigi di Savoia. Prese l'ordine sacerdotale e fu nominato priore del Duomo di Ancona.
Dal 1937 entrò nella Deputazione di Storia Patria per le Marche di cui fu in seguito anche presidente. Effettuò studi molto approfonditi sull'intera storia di questa regione e del suo capoluogo, dagli inizi fino agli anni settanta.


NOTA
Ildorico ricorda di averlo conosciuto e di avere a casa un suo libro sulla Storia di Ancona, con dedica.


domenica 24 dicembre 2023

24 DICEMBRE - AUGURI LUCA POLACCO

Auguri Polacco


24 DICEMBRE 2023 - DOMENICA PRENATALIZIA DELL' AVVENTO - RITO AMBROSIANO

 24 DICEMBRE 2023 -  DOMENICA PRENATALIZIA DELL' AVVENTO - RITO AMBROSIANO


Nel caso in cui la sesta domenica cada il 17 dicembre, la domenica successiva, il 24 dicembre, si qualifica come domenica Prenatalizia, in cui, come Vangelo, viene proclamata la "genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide".




24 DICEMBRE 2023 - QUARTA DOMENICA DI AVVENTO - RITO ROMANO

24 DICEMBRE 2023 - RITO ROMANO  QUARTA DOMENICA DI AVVENTO





venerdì 22 dicembre 2023

22 DICEMBRE - DETTI ANCONETANI - QUANT'EL MONTE….

Quant'el monte méte 'l capélu, lascia 'l bastó e pja l'umbrelu






Quando il Monte Conero si copre di nuvole, sicuramente pioverà






mercoledì 20 dicembre 2023

martedì 19 dicembre 2023

lunedì 18 dicembre 2023

18 DICEMBRE - I TRE PORCELLINI

 18 DICEMBRE - I TRE PORCELLINI

Ai primordi, le uscite trek dei tre porcellini!





Per approfondire, clicca qui

domenica 17 dicembre 2023

17 DICEMBRE 2023 - SESTA DOMENICA DI AVVENTO - RITO AMBROSIANO

 17 DICEMBRE 2023 - SESTA DOMENICA DI AVVENTO - RITO AMBROSIANO


DOMENICA DELL'INCARNAZIONE







Tempo di   Avvento
Inizia la prima domenica dopo il giorno di San Martino (11 novembre) e prevede sempre 6 domeniche (quando il 24 dicembre cade di domenica, è prevista la celebrazione di una Domenica Prenatalizia). Gli ultimi giorni dell'Avvento sono le ferie dell'Accolto e costituiscono la novena di Natale.


Nel rito ambrosiano è previsto il colore morello (un colore simile al viola), tranne nell'ultima domenica (detta "dell'Incarnazione") nella quale si usa il bianco.

domenica della venuta del Signore
domenica dei figli del regno
domenica delle profezie adempiute
domenica dell'ingresso del Messia
domenica del precursore
domenica dell'Incarnazione

17 DICEMBRE - AUGURI ELISA

17 DICEMBRE 2018 - AUGURI ELISA


sabato 16 dicembre 2023

16 DICEMBRE - MEMORIE SENZA TEMPO - ALESSANDRO ZAPPATA

Alessandro Zappata (Comacchio, 16 dicembre 1860 – Ancona, 1º febbraio 1929) è stato un latinista, insegnante e traduttore italiano.





Biografia
Dopo aver conseguito due lauree all'università di Bologna (la prima in legge, la seconda in lettere) iniziò la sua carriera di insegnante di greco e latino nel Convitto Cicognini di Prato, per poi passare a Urbino, Avellino, Ivrea, Girgenti e infine al liceo classico Carlo Rinaldini di Ancona. Fu autore di numerosi poemetti in lingua latina, il più noto dei quali, intitolato Mater Jesu, mater Judae, fu premiato nel 1928 con la medaglia d'oro del primo classificato al Certamen poeticum Hoeufftianum. Vinse, nello stesso Certamen, la gran lode altre diciotto volte fra il 1897 e il 1925. Fu anche traduttore in lingua italiana di Virgilio e curatore di una antologia di carmi catulliani

Fu socio dell'Istituto Marchigiano di scienze, lettere ed arti e della Reale Accademia Virgiliana di Mantova.

Gli sono state intitolate la scuola media statale di Comacchio e una strada del centro storico di Ancona.

venerdì 15 dicembre 2023

15 DICEMBRE - DETTI ANCONETANI - PRESE IN GIRO FRA CUGINI….

Prese in giro fra cugini.....e non....


Questo in dialetto di Montelupone, ma si dice anche nella dorica, senza  Recanati e Montelupone, appumto

Osimo è vello, Castello è segreto, chi vole li latri vaca a Loreto, chi vole li marfidati vaca a Reganati, chi vole li nciampù vaca a Montripù.



Ancona e dintorni

Se vai a Loreto e non vieni a Sirolo, vedi la madre ma non vedi il figliolo


A Offagna, se non si porta non si magna



giovedì 14 dicembre 2023

14 DICEMBRE - TERME DELL'ASPIO - CAMERANO

TERME DELL'ASPIO - CAMERANO
ANTICHE FONTI DI SALUTE A CAMERANO





Se avete voglia di immergervi in un’atmosfera di relax e volete concedervi una pausa di benessere, vi suggeriamo di recarvi alle antiche Terme dell’Aspio, a Camerano.

Tra tigli, cipressi e canneti di bambù si trova la struttura elegante, gradevole e all’avanguardia delle Terme, interamente rinnovata nel 1997.

Unico nella Riviera del Conero, lo stabilimento termale oggi offre sei ambulatori, due box terapia, un bar, una zona relax, un’area giochi per bambini e avanzate tecnologie mediche, che si basano sul principio naturale delle salutari acque minerali a base di cloruro di sodio.

L’acqua delle Terme dell’Aspio sgorga da quattro fonti: Forte, Nuovo, S. Maria e Regina Coeli e secondo la leggenda furono gli angeli ad arricchire l'acqua di proprietà termali, allo scopo di dissetare la Madonna durante la sua traslazione verso Loreto.

Alle cure termali tradizionali si affiancano altri servizi, per garantire un’offerta ampia e disponibile nel corso di tutto l’anno: trattamenti anti-aging, cure estetiche, omeopatia, agopuntura e ozono terapia.

mercoledì 13 dicembre 2023

13 DICEMBRE - PER NON DIMENTICARE LA GRANDE FRANA DI ANCONA

La “grande frana” del 1982





La sera di lunedì 13 dicembre 1982, alle 22,35, quando la terra cominciò a franare, molti erano in casa. “Ecco, ci risiamo torna il terremoto” devono aver pensato in parecchi. Ma bastò poco per capire che si trattava d’altro: le case non tremavano. Scricchiolavano, si gonfiavano, si spaccavano. E via di nuovo in strada, come con il sisma del ‘72, questa volta sotto la pioggia battente. In quel momento la storia di quasi quattromila persone cambiò direzione, insieme con quella di un’intera città. Scrisse la giornalista Anna Scalfati il 15 dicembre sulle pagine del Corriere Adriatico: “Nel silenzio della notte solo scricchiolii delle pareti e la sensazione di perdere l’equilibrio. Niente scossoni da brivido, ma, come un film al rallentatore o come uno sconosciuto che preme contro la porta, la massa fangosa ha iniziato a gonfiarsi e a forzare con insistenza sulle pareti e sotto la strada”. “Si sentivano in continuo piccoli rumori, tintinnio di bicchieri – racconta una signora – poi il pavimento che si inclinava. La gente gridava di scappare perché franava tutta Posatora, fino al mare”. “In pochi minuti – riferirono i giornalisti Walter Orazi e Bruno Nicoletti a poche ore dall’evento – nel quartiere di Posatora si è riproposta la visione allucinante della fuga di migliaia e migliaia di persone, vecchi, bambini, rinchiusi nelle auto, che scappavano attraverso l’unica via ancora transitabile, verso il Piano San Lazzaro o la stazione ferroviaria. La lunga fila di luci abbaglianti delle autovetture sotto la pioggia sempre più sferzante si incrociava con le autoambulanze
Pioveva quella sera ed era piovuto molto nei giorni precedenti. Così arrivò la frana Si mosse la terra nella periferia ovest della città, sul versante nord della collina del Montagnolo. Scivolò verso il mare, a partire da un’altezza di 170 metri, muovendo 180 metri cubi di terreno, 220 ettari, l’11 per cento dell’area urbana di Ancona: i quartieri di Posatora, Borghetto e Palombella. Si attivò senza preavviso visibile, durò solo qualche ora e fu seguita da un lungo periodo di assestamento.

13 DICEMBRE - SANTA LUCIA

AUGURI

Santa Lucia Vergine e martire
13 dicembre



Siracusa, III secolo - Siracusa, 13 dicembre 304

La vergine e martire Lucia è una delle figure più care alla devozione cristiana. Come ricorda il Messale Romano è una delle sette donne menzionate nel Canone Romano. Vissuta a Siracusa, sarebbe morta martire sotto la persecuzione di Diocleziano (intorno all'anno 304). Gli atti del suo martirio raccontano di torture atroci inflittele dal prefetto Pascasio, che non voleva piegarsi ai segni straordinari che attraverso di lei Dio stava mostrando. Proprio nelle catacombe di Siracusa, le più estese al mondo dopo quelle di Roma, è stata ritrovata un'epigrafe marmorea del IV secolo che è la testimonianza più antica del culto di Lucia. Una devozione diffusasi molto rapidamente: già nel 384 sant'Orso le dedicava una chiesa a Ravenna, papa Onorio I poco dopo un'altra a Roma. Oggi in tutto il mondo si trovano reliquie di Lucia e opere d'arte a lei ispirate.
Patronato: Siracusa, ciechi, oculisti, elettricisti,

martedì 12 dicembre 2023

lunedì 11 dicembre 2023

11 DICEMBRE -RICORDI DI VIAGGIO - ILLERTISSEN - ANNO 2018

DICEMBRE 2018 - RICORDI DI VIAGGIO AD ILLERTISSEN


Viaggio ad Illertissen e dintorni!












11 DICEMBRE - CAMMINO INVERNALE DA BASSANO DEL GRAPPA A PADOVA - 08-11/12/2022

 Cammini che passione


CAMMINO INVERNALE DA BASSANO DEL GRAPPA  A PADOVA - 08-11/12/2022




Itinerario individuato è quello da Bassano del Grappa a Padova, il tratto è in comune con la Via Romea Germanica e la Via Romea Strata, come inizio e fine, anche se le due vie effettuano un percorso leggermente diverso nel tratto da Bassano del Grappa a Camposampiero


Mercoledì

7

Trasferimento per Bassano del Grappa e pernotto

 

Giovedì

8

Prima tappa- Bassano del Grappa / San Martino di Lupari –  Km 21

 

Venerdì

9

Seconda tappa: San Martino di Lupari / Camposampiero – Km 12

 

Sabato

10

Terza Tappa: Camposampiero / Padova – km 23,5

Domenica

11

Visita di Padova -Treno per il rientro


In questa occasione abbiamo scelto il percorso della Via Romea Strata





domenica 10 dicembre 2023

10 DICEMBRE - BEATA VERGINE DI LORETO

AUGURI




Beata Vergine Maria di Loreto 
10 dicembre 

Il Santuario di Loreto è sorto nel luogo in cui, secondo la leggenda, la dimora di Maria Vergine sarebbe stata trasportata prodigiosamente dagli Angeli. Questo santuario risale al IV secolo, ed è uno dei più antichi. Anche oggi questa basilica è meta di continui pellegrinaggi, e considerata la “Lourdes italiana. La convinzione di questa miracolosa traslazione ha spinto papa Benedetto XV a costituire la Beata Vergine di Loreto “Patrona principale presso Dio di tutti gli aeronautici”. 
Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

10 DICEMBRE 2023 - QUINTA DOMENICA DI AVVENTO - RITO AMBROSIANO

10 DICEMBRE 2023 - QUINTA DOMENICA DI AVVENTO - RITO AMBROSIANO


DOMENICA DEL PRECURSORE






Tempo di   Avvento
Inizia la prima domenica dopo il giorno di San Martino (11 novembre) e prevede sempre 6 domeniche (quando il 24 dicembre cade di domenica, è prevista la celebrazione di una Domenica Prenatalizia). Gli ultimi giorni dell'Avvento sono le ferie dell'Accolto e costituiscono la novena di Natale.




Nel rito ambrosiano è previsto il colore morello (un colore simile al viola), tranne nell'ultima domenica (detta "dell'Incarnazione") nella quale si usa il bianco.

domenica della venuta del Signore
domenica dei figli del regno
domenica delle profezie adempiute
domenica dell'ingresso del Messia
domenica del precursore
domenica dell'Incarnazione

10 DICEMBRE 2023 - SECONDA DOMENICA DI AVVENTO - RITO ROMANO

  SECONDA DOMENICA DI AVVENTO





sabato 9 dicembre 2023

09 DICEMBRE - LA CHIESETTA DELLA BANDERUOLA

LA CHIESETTA DELLA BANDERUOLA A PORTO RECANATI





NATA DOVE SOSTÒ LA SANTA CASA DELLA MADONNA PRIMA DI ESSERE PORTATA LORETO
Le vicissitudini della Santa Casa, prima di trovare l'attuale collocazione sul colle di Loreto, sono state molte e occupano ormai uno spazio speciale nella storia e nella leggenda.

Ma forse pochi sanno dell’esistenza di una chiesetta rurale di grandissimo valore spirituale e religioso che si trova tra i campi di grano in località Scossicci, nel territorio di Porto Recanati. Si tratta della Chiesetta della Banderuola e il curioso nome “Banderuola” farebbe riferimento alla bandiera che indicava ai pescatori e ai marinai di Porto Recanati la via verso la Santa Casa di Loreto.

Questa chiesetta in realtà è sorta proprio qui perché pare che tra queste campagne abbia sostato la Santa Casa della Madonna nel 1294, prima di essere deposta sul colle di Loreto.
L’attuale chiesetta fu costruita alla fine degli anni Quaranta con caratteristica pianta a croce greca e una cupola ricoperta di maioliche colorate.

Se vi va, prendete la bici da Porto Recanati e seguite la pista ciclabile che parte da Via Marco Polo per una gita tra le campagne del Conero e perché no, magari per la messa domenicale che si tiene sempre e rigorosamente alle ore 9.
La Chiesetta della Banderuola è particolarmente suggestiva nei mesi estivi, a partire da maggio quando i fedeli si attardano nel giardinetto attiguo, in attesa di assistere al rito della benedizione serale con una processione notturna molto particolare.

venerdì 8 dicembre 2023

08 DICEMBRE - IMMACOLATA CONCEZIONE

Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
8 dicembre


 




Già celebrata dal sec. XI, questa solennità si inserisce nel contesto dell’Avvento-Natale, congiungendo l’attesa messianica e il ritorno glorioso di Cristo con l’ammirata memoria della Madre. In tal senso questo periodo liturgico deve essere considerato un tempo particolarmente adatto per il culto della Madre del Signore. Maria è la tutta santa, immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova creatura. Già profeticamente adombrata nella promessa fatta ai progenitori della vittoria sul serpente, Maria è la Vergine che concepirà e partorirà un figlio il cui nome sarà Emmanuele. Il dogma dell’Immacolata Concezione fu proclamato da Pio IX nel 1854. (Mess. Rom.)
Patronato: Patrona e Regina dell’ordine francescano

Martirologio Romano: Solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria, che veramente piena di grazia e benedetta tra le donne, in vista della nascita e della morte salvifica del Figlio di Dio, fu sin dal primo momento della sua concezione, per singolare privilegio di Dio, preservata immune da ogni macchia della colpa originale, come solennemente definito da papa Pio IX, sulla base di una dottrina di antica tradizione, come dogma di fede, proprio nel giorno che oggi ricorre.




08 DICEMBRE - AUGURI FILIPPO

 

AUGURI FILIPPO



giovedì 7 dicembre 2023

07 DICEMBRE - SAN AMBROGIO



Sant' Ambrogio Vescovo e dottore della Chiesa

7 dicembre (e 4 aprile)

Treviri, Germania, c. 340 - Milano, 4 aprile 397


Aveva scelto la carriera di magistrato – seguendo le orme del papà, prefetto romano della Gallia – e a trent’anni si trovava già ad essere Console di Milano, città che era allora capitale dell’Impero.
Così, quel 7 dicembre dell’anno 374, in cui cattolici e ariani si contendevano il diritto di nominare il nuovo Vescovo, toccava a lui garantire in città l’ordine pubblico, e impedire che scoppiassero tumulti.
L’imprevedibile accadde quando egli parlò alla folla con tanto buon senso e autorevolezza che si levò un grido: «Ambrogio Vescovo!». E pensare che era soltanto un catecumeno in attesa del Battesimo! Cedette, quando comprese che quella era anche la volontà di Dio che lo voleva al suo servizio. Cominciò distribuendo i suoi beni ai poveri e dedicandosi a uno studio sistematico della Sacra Scrittura. Imparò a predicare, divenendo uno dei più celebri oratori del suo tempo, capace di incantare perfino un intellettuale raffinato come Agostino di Tagaste, che si convertì grazie a lui. Da Ambrogio la Chiesa di Milano ricevette un’impronta che si conserva ancor oggi, anche nel campo liturgico e musicale. Mantenne stretti e buoni rapporti con l’imperatore, ma era capace di resistergli quand’era necessario, ricordando a tutti che «l’imperatore è dentro la Chiesa, non sopra la Chiesa». E quando seppe che Teodosio il Grande aveva ordinato una violenta e ingiusta repressione a Tessalonica, non temette di esigere dal sovrano una pubblica espiazione. Dicono che al termine della sua vita abbia confidato: «Non ho paura di morire, perché abbiamo un Signore buono!». Alla sua Chiesa lasciava un ricco tesoro di insegnamenti soprattutto nel campo della vita morale e sociale.

Patronato: Apicoltori, Vescovi, Lombardia, Milano e Vigevano

Etimologia: Ambrogio = immortale, dal greco

Emblema: Api, Bastone pastorale, Gabbiano
Martirologio Romano: Memoria di sant’Ambrogio, vescovo di Milano e dottore della Chiesa, che si addormentò nel Signore il 4 aprile, ma è venerato in particolare in questo giorno, nel quale ricevette, ancora catecumeno, l’episcopato di questa celebre sede, mentre era prefetto della città. Vero pastore e maestro dei fedeli, fu pieno di carità verso tutti, difese strenuamente la libertà della Chiesa e la retta dottrina della fede contro l’arianesimo e istruì nella devozione il popolo con commentari e inni per il canto.
(4 aprile: A Milano, deposizione di sant’Ambrogio, vescovo, che, nel giorno del Sabato Santo andò incontro a Cristo vincitore della morte. La sua memoria si celebra il 7 dicembre nel giorno della sua ordinazione).

mercoledì 6 dicembre 2023

06 DICEMBRE - JENNI

 06 dicembre 2021




11 settembre 2010, clicca qui



Cane vigile e feroce, clicca qui

06 DICEMBRE - SAN NICOLA DI BARI

San Nicola di Mira (di Bari) Vescovo







6 dicembre

Pàtara, Asia Minore (attuale Turchia), ca. 250 - Mira, Asia Minore, ca. 326


Proveniva da una famiglia nobile. Fu eletto vescovo per le sue doti di pietà e di carità molto esplicite fin da bambino. Fu considerato santo anche da vivo. Durante la persecuzione di Diocleziano, pare sia stato imprigionato fino all’epoca dell’Editto di Costantino. Fu nominato patrono di Bari, e la basilica che porta il suo nome è tuttora meta di parecchi pellegrinaggi. San Nicola è il leggendario Santa Claus dei paesi anglosassoni, e il NiKolaus della Germania che a Natale porta i doni a bambini.

Patronato: Bambini, Ragazzi e ragazze, Scolari, Farmacisti, Mercanti, Naviganti, Pescatori,

Etimologia: Nicola = vincidore del popolo, dal greco

Emblema: Bastone pastorale, tre sacchetti di monete (tre palle d'oro)
Martirologio Romano: San Nicola, vescovo di Mira in Licia nell’odierna Turchia, celebre per la sua santità e la sua intercessione presso il trono della grazia divina.

PER APPROFONDIRE
San Nicola è uno dei santi più venerati ed amati al mondo. Egli è certamente una delle figure più grandi nel campo dell’agiografia. Tra il X e il XIII secolo non è facile trovare santi che possano reggere il confronto con lui quanto a universalità e vivacità di culto.
Ogni popolo lo ha fatto proprio, vedendolo sotto una luce diversa, pur conservandogli le caratteristiche fondamentali, prima fra tutte quella di difensore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie. Egli è anche il protettore delle fanciulle che si avviano al matrimonio e dei marinai, mentre l’ancor più celebre suo patrocinio sui bambini è noto soprattutto in Occidente.

La Patria di San Nicola
San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia.
Nell’antichità i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara, dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo.
Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida.
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.

L'infanzia
Di S. Nicola di Bari, si sa ben poco della sua infanzia. Le fonti più antiche non ne fanno parola. Il primo a parlarne è nell’VIII secolo un monaco greco (Michele Archimandrita), il quale, spinto anche dall’intento edificante, scrive  che Nicola sin dal grembo materno era destinato a santificarsi. Sin dall’infanzia dunque avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa.
Nicola nacque nell’Asia Minore, quando questa terra, prima di essere occupata dai Turchi, era di cultura e lingua greca. La grande venerazione che nutrono i russi verso di lui ha indotto alcuni in errore, affermando che sarebbe nato in Russia. Non è mancato chi lo facesse nascere nell’Africa, a motivo del fatto che a Bari si venerano alcune immagini col volto del Santo piuttosto scuro (“S. Nicola nero”). In realtà, Nicola nacque intorno all’anno 260 dopo Cristo a Patara, importante città marittima della Licia, penisola della costa meridionale dell’Asia Minore (oggi Turchia). Nel porto di questa città aveva fatto scalo anche S. Paolo in uno dei suoi viaggi.
Il fatto che l’Asia Minore fosse di lingua e cultura greca, sia pure all’interno dell’Impero Romano, fa sì che Nicola possa essere considerato “greco”. Il suo nome, Nikòlaos, significa popolo vittorioso, e, come si vedrà, il popolo avrà uno spazio notevole nella sua vita.
Da alcuni episodi (dote alle fanciulle, elezione episcopale) si potrebbe dedurre che i genitori, di cui non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici. In alcune Vite essi vengono chiamati Epifanio e Nonna (talvolta Teofane e Giovanna), ma questi, come vari altri episodi, si riferiscono ad un monaco Nicola vissuto (480-556) due secoli dopo nella stessa regione. Questo secondo Nicola, nato a Farroa, divenne superiore del monastero di Sion e poi vescovo di Pinara (onde è designato anche come Sionita o di Pinara).
Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Il suddetto monaco greco narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata.
Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente alla virtù della carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle.

La dote alle fanciulle
Carità e castità sono le due virtù che fanno da sfondo ad uno egli episodi più celebri della sua vita. Anzi, a questo episodio si sono ispirati gli artisti, specialmente occidentali, per individuare il simbolo che caratterizza il nostro Santo. Quando si vede, infatti, una statua o un quadro raffigurante un santo vescovo dell’antichità è facile sbagliare sul chi sia quel santo (Biagio, Basilio, Gregorio, Ambrogio, Agostino, e così via). Ed effettivamente anche in libri di alta qualità artistica si riscontrano spesso di questi errori. Il devoto di S. Nicola  ha però un segno infallibile per capire se si tratta di S. Nicola o di uno fra questi altri santi. Un vescovo che ha in mano o ai suoi piedi tre palle d’oro è sicuramente S. Nicola, e non può essere in alcun modo un altro Santo. Le tre palle d’oro sono infatti una deformazione artistica dei sacchetti pieni di monete d’oro, che sono al centro di questa storia.
L’episodio si svolge a Mira, città marittima ad un centinaio di chilometri da Patara, ove probabilmente Nicola con i suoi genitori si era trasferito. Secondo alcune versioni i suoi genitori erano morti ed egli era divenuto un giovane pieno di speranze e di mezzi. Secondo altre, i genitori erano ancora vivi e vegeti e Nicola dipendeva ancora da loro. Quale che sia la verità, alle sue orecchie giunse voce che una famiglia stava attraversando un brutto momento. Un signore, caduto in grave miseria, disperando di poter offrire alle figlie un decoroso matrimonio, aveva loro insinuato l’idea di prostituirsi allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al matrimonio.
Alla notizia di un tale proposito, Nicola decise di intervenire, e di farlo secondo il consiglio evangelico: non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. In altre parole, voleva fare un’opera di carità, senza che la gente lo notasse e lo ammirasse. La sua virtù doveva essere nota solo a Dio, e non agli uomini, in quanto se fosse emersa e avesse avuto gli onori degli uomini, avrebbe perduto il merito della sua azione. Decise perciò di agire di notte. Avvolte delle monete d’oro in un panno, uscì di casa e raggiunse la dimora delle infelici fanciulle. Avvicinatosi alla finestra, passò la mano attraverso l’inferriata e lasciò cadere il sacchetto all’interno. Il rumore prese di sorpresa il padre delle fanciulle, che raccolse il denaro e con esso organizzò il matrimonio della figlia maggiore.
Vedendo che il padre aveva utilizzato bene il denaro da lui elargito, Nicola volle ripetere il gesto. Si può ben immaginare la gioia che riempì il cuore del padre delle fanciulle. Preso dalla curiosità aveva cercato invano, uscendo dalla casa, di individuare il benefattore. Con le monete d’oro, trovate nel sacchetto che Nicola aveva gettato attraverso la finestra, poté fare realizzare il sogno della seconda figlia di contrarre un felice matrimonio.
Intuendo la possibilità di un terzo gesto di carità, nei giorni successivi il padre cercò di dormire con un occhio solo. Non voleva che colui che aveva salvato il suo onore restasse per lui un perfetto sconosciuto. Una notte, mentre ancora si sforzava di rimanere sveglio, ecco il rumore del terzo sacchetto che, cadendo a terra, faceva il classico rumore tintinnante delle monete. Nonostante che il giovane si allontanasse rapidamente, il padre si precipitò fuori riuscendo ad individuarne la sagoma. Avendolo rincorso, lo raggiunse e lo riconobbe come uno dei suoi vicini. Nicola però gli fece promettere di non rivelare la cosa a nessuno. Il padre promise, ma a giudicare dagli avvenimenti successivi, con ogni probabilità non mantenne la promessa. E la fama di Nicola come uomo di grande carità si diffuse ancor più nella città di Mira.

Nicola è eletto vescovo
Intorno all’anno 300 dopo Cristo, anche se il cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero e non esistevano templi cristiani, le comunità che si richiamavano all’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate. I cristiani si riunivano nelle case di aristocratici che avevano abbracciato la nuova fede, e quelle case venivano chiamate domus ecclesiae, casa della comunità. Per chiesa infatti si intendeva la comunità cristiana. E questa comunità partecipava attivamente all’elezione dei vescovi, cioè di quegli anziani addetti alla cura e all’incremento della comunità nella fede e nelle opere. Questi divenivano capi della comunità e la rappresentavano nei concili, cioè in quelle assemblee che avevano il compito di analizzare e risolvere i problemi, e quindi di varare norme che riuscissero utili ai cristiani di una o più province.
Solitamente erano eletti dei presbiteri (sacerdoti), laici che abbandonavano lo stato laicale per consacrarsi al bene della comunità. L’imposizione delle mani da parte dei vescovi dava loro la facoltà di celebrare l’eucarestia, e questo li distingueva dai laici. Non mancano però casi, e Nicola è uno di questi, in cui l’eletto non è un presbitero, ma un laico. Il che non significa che passava direttamente al grado episcopale, ma che in pochi giorni gli venivano conferiti i vari ordini sacri, fino al presbiterato che apriva appunto la via all’episcopato.
In questo contesto ebbe luogo l’elezione di Nicola, che lo scrittore sacro descrive in una cornice che ha del miracoloso. Essendo morto il vescovo di Mira, i vescovi dei dintorni si erano riuniti in una domus ecclesiae per individuare il nuovo vescovo da dare alla città. Quella stessa notte uno di loro ebbe in sogno una rivelazione: avrebbero dovuto eleggere un giovane che per primo all’alba sarebbe entrato in chiesa. Il suo nome era Nicola. Ascoltando questa visione i vescovi compresero che l’eletto era destinato a grandi cose e, durante la notte, continuarono a pregare. All’alba la porta si aprì ed entrò Nicola. Il vescovo che aveva avuto la visione gli si avvicinò e chiestogli come si chiamasse, lo spinse al centro dell’assemblea e lo presentò agli astanti. Tutti furono concordi nell’eleggerlo e nel consacrarlo seduta stante vescovo di Mira.
L’episodio forse avvenne diversamente, anche perché, come si è detto, all’elezione dei vescovi partecipava sempre il popolo. Ma l’agiografo, vissuto in un’epoca in cui i vescovi avevano un potere più autonomo rispetto al laicato, narrando così l’episodio intendeva esprimere due concetti: Nicola fu fatto vescovo da laico e la sua elezione era il risultato non di accordi umani, ma soltanto della  volontà di Dio.

La persecuzione di Diocleziano
Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano mise fine alla sua politica di tolleranza verso i cristiani e scatenò una violenta persecuzione. Questa durò un decennio, anche se i momenti di crudeltà si alternarono con momenti di pausa. Nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio a Milano si accordarono sulle sfere di competenza, prendendosi il primo l’occidente, il secondo l’oriente. Essi emanarono anche l’editto che dava libertà di culto ai cristiani. Sei anni dopo (319), in contrasto con la politica costantiniana filocristiana, Licinio riaprì la persecuzione contro i cristiani.
Nelle fonti nicolaiane antiche (anteriori al IX secolo) non si trova alcun riferimento alla persecuzione. Considerando però che il vescovo di Patara Metodio affrontò coraggiosamente la morte, sembra probabile che anche il nostro Santo abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, non ultima quella di vedere il suo gregge subire tanti patimenti. 
Alcuni scrittori, come il Metafraste verso il 980 d.C., specificavano che Nicola aveva sofferto la persecuzione di Diocleziano, finendo in carcere. Qui, invece di abbattersi, il santo vescovo avrebbe sostenuto ed incoraggiato i fedeli a resistere nella fede e a non incensare gli dèi. Il che avrebbe spinto il preside della provincia a mandarlo in esilio. Autori successivi hanno voluto posticipare la persecuzione patita da Nicola, individuandola in quella di Licinio, piuttosto che in quella di Diocleziano. Ciò per ovviare al fatto che durante la persecuzione Nicola era già vescovo e, secondo loro,  sarebbe stato consacrato vescovo fra il 308 ed il 314.
Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di un Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni, scriveva: Al concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi, Nicola vescovo dei Miresi, Pafnuzio e altri.

Il Concilio di Nicea
L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 giugno dell’anno 318 emanava un editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Ma, mentre la Chiesa con simili provvedimenti si rafforzava nella società pagana, ecco che un’opinione intorno alla natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio (se uguale o inferiore a quella del Padre) suscitò una polemica tale da spaccare l’impero in due partiti contrapposti. A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di S. Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace l’imperatore convocò la grande assemblea (concilio) a Nicea nel 325.
Data l’ubicazione in Asia Minore ben pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Qualcuno ha voluto mettere in dubbio la partecipazione di Nicola a questo primo ed importantissimo concilio ecumenico. Ma se è vero che il suo nome (come quello di S. Pafnuzio) non compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore verso il 515 d.C., ritenuta autentica dal massimo studioso di liste dei padri conciliari (Edward Schwartz).
Una delle preghiere più note della liturgia orientale si rivolge a Nicola con queste parole: O beato vescovo Nicola, tu che con le tue opere ti sei mostrato al tuo gregge come regola di fede (kanòna pìsteos) e modello di mitezza e temperanza, tu che con la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e col tuo amore  per la povertà le ricchezze celesti, intercedi presso Cristo Dio per farci ottenere la salvezza dell’anima.
Questa antica preghiera viene solitamente collegata proprio al ruolo svolto da Nicola al concilio di Nicea. Alla carenza di documentazione sulle sue azioni a Nicea suppliscono alcune leggende, la più nota delle quali (attribuita in verità anche a S. Spiridione) è quella del mattone. Dato che a provocare lo scisma era stato Ario, che non ammetteva l’uguaglianza di natura fra il Dio creatore e Gesù Cristo, il problema consisteva nel dimostrare come fosse possibile la fede in un solo Dio se anche Cristo era Dio. Considerando poi che la formula battesimale inseriva anche lo Spirito Santo, Nicola si preoccupò di dimostrare la possibilità della coesistenza di tre enti in uno solo. Preso un mattone, ricordò agli astanti la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco.  Il che stava a significare che la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non intaccava la verità fondamentale che Dio è uno. Mentre illustrava questa verità, ecco che una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca.
Ancor più nota a livello popolare è la leggenda dello schiaffo ad Ario, legata all’usanza dei pittori di raffigurare agli angoli in alto il Cristo e la Vergine in atto di dare l’uno il vangelo l’altra la stola. Secondo questa leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie di Ario che si ostinava a negare la divinità di Cristo, levò la destra e gli diede uno schiaffo. Essendo stata riferita la cosa a Costantino, l’imperatore ne ordinò la carcerazione, mentre i vescovi lo privavano dei paramenti episcopali. I carcerieri dal canto loro lo insultavano  e beffeggiavano in vari modi. Uno di loro giunse anche a bruciargli la barba. Durante la notte Nicola ebbe la visita di Cristo e della Madonna che gli diedero il vangelo (segno del magistero episcopale) e la stola o omophorion (segno del ministero sacramentale). Quando andò per celebrare la messa, indotto da spirito di umiltà, Nicola evitò di indossare i paramenti vescovili, ma alle prime sue parole ecco scendere dal cielo la vergine con la stola e degli angeli con la mitra. Ed appena terminata la celebrazione ecco rispuntargli folta la barba che la notte precedente i carcerieri gli avevano bruciata.
Queste però sono tutte leggende posteriori, poiché, a parte la sua presenza in quel concilio (sull’autorità di Teodoro il Lettore ed alcune liste del VII-VIII secolo), non si sa nulla di ciò che fece Nicola a quel concilio. Certo è che fu dalla parte di Atanasio e dell’ortodossia, altrimenti la liturgia non l’avrebbe chiamato regola di fede.

L'eretico Teognide
Il silenzio degli antichi scrittori sul ruolo di Nicola a quel concilio si spiega forse col fatto che Nicola ebbe un atteggiamento diverso da quello del capo del partito cattolico ortodosso, Atanasio di Alessandria. Pur avendo un carattere altrettanto energico, Nicola era più sensibile alla ricomposizione dell’armonia nella Chiesa. Non si fermava come Atanasio alla difesa ad oltranza delle fede, ma tentava anche tutte le vie per riportare gli erranti (eretici) nel grembo della Chiesa. Un atteggiamento che dovette apparire ad Atanasio come troppo incline al compromesso, e di conseguenza non degno di essere ricordato fra i difensori della fede. Questa “damnatio memoriae” da parte di Atanasio (che pure menziona molti vescovi) si spiega anche col fatto che quasi certamente Nicola militava politicamente nel “partito” opposto. Mentre infatti Atanasio parla di Ablavio, prefetto di Costantino, come “amato da Dio”, l’antico biografo di Nicola lo definisce “perverso e malvagio” (come ritiene anche il grande storico Eusebio di Cesarea e tutti gli storici pagani). Né la cosa deve sorprendere più di tanto. Anche oggi infatti persone degnissime militano politicamente su versanti opposti.
Che in S. Nicola si incontrassero il grande amore per la retta fede col grande amore dell’armonia nella Chiesa, è testimone S. Andrea di Creta, il quale scrive: Come raccontano, passando in rassegna i tralci della vera vite, incontrasti quel Teognide di santa memoria, allora vescovo della Chiesa dei Marcianisti. La disputa procedette in forma scritta fino a che non lo convertisti e riportasti all’ortodossia. Ma poiché fra voi due era forse intervenuta una sia pur minima asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo  dicendo: “Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira”.
Nonostante il riferimento ai Marcianisti (talvolta è scritto Marcioniti), il vescovo Teognide è quasi certamente il vescovo di Nicea al tempo del Concilio di cui si è parlato. Simpatizzante dell’eretico Ario, Teognide si lasciò tuttavia convincere e alla fine firmò gli atti del concilio. Quasi certamente Nicola si era messo in contatto con lui già in precedenza e dovette avere un certo ruolo nel farlo decidere a firmare gli atti. In realtà Teognide successivamente non mutò atteggiamento verso Atanasio, che continuò ad avversare decisamente. Dopo un esilio di tre anni in Gallia, al ritorno continuò a criticare il termine “consustanziale” col quale Atanasio e la Chiesa definivano il rapporto fra Padre e Figlio. Nel 336 contribuì a fare esiliare S. Atanasio.
Come si può vedere, l’antichità cristiana non fa eccezione. Anche all’interno di sostenitori della retta fede si formarono “partiti” diversi. Il che comportò persino giudizi contrapposti sul piano della spiritualità. E’ il caso di Teognide, da S. Andrea di Creta ritenuto di “santa memoria”, da altri pur sempre un eretico. Ed è il caso di Teodoreto (storico della Chiesa), dalla chiesa greca considerato un eresiarca, dalla russa un “beato” (blažennyj). Ed è pure il caso del patriarca Anastasio (729-752), dalla chiesa latina ritenuto un iconoclasta, da quella greca “di santa memoria” perché pentito, dopo essere stato salvato proprio da S. Nicola dall’annegamento.

Il tempio di Diana
Costantino aveva lasciato libertà di culto ai pagani, tuttavia è chiaro che almeno a partire dal 318, coi poteri giurisdizionali ai vescovi, i cristiani ebbero uno spazio privilegiato all’interno dell’impero. Non pochi vescovi, e sembra che Nicola sia stato fra di essi, si impegnarono per quanto possibile a cancellare dalle loro città i segni della religione pagana fino ad abbattere alcuni templi. La tradizione ci fa vedere Nicola impegnato in tal senso. Andrea di Creta nel suo celebre Encomio di S. Nicola, rivolgendosi al nostro Santo esclama: Hai dissodato, infatti,  i campi spirituali di tutta la provincia della Licia, estirpando le spine dell’incredulità. Con i tuoi insegnamenti hai abbattuto altari di idoli e luoghi di culto di dèmoni abominevoli e al loro posto hai eretto chiese a Cristo. Pur rimanendo molto vicino al testo di Andrea, Michele Archimandrita, “concretizzava” l’opera di Nicola facendo riferimento non alle armi della parola e dell’insegnamento, ma a vere e proprie spranghe di ferro per abbattere il tempio di Diana, che si ergeva imponente. Era questo il maggiore di tutti i templi sia per altezza che per varietà di decorazioni, oltre che per presenza di demoni.
Che Michele Archimandrita si fosse documentato su fonti miresi dirette è dimostrato proprio da queste sue parole. Se non avesse fatto ricorso a tali documenti difficilmente avrebbe potuto sapere di questo ruolo preminente del tempio di Diana. Dopo recenti scavi archeologici è risultato infatti che nel 141 questo tempio era stato restaurato ed ampliato dal mecenate licio Opramoas di Rodiapoli. Una conferma, questa, che quanto dice il monaco Michele riflette i racconti che si narravano a Mira nell’VIII secolo.
E’ probabile che la verità sia quella di Andrea di Creta, che ci mostra un Nicola che abbatte il paganesimo con le armi della parola. Tuttavia, a giudicare dal carattere energico del vescovo di Mira (dimostrato in altre occasioni), non è impossibile che sia avvenuto secondo il racconto dell’Archimandrita. Ciò che li accomuna, ed era una credenza molto diffusa a livello popolare, è il particolare dei demoni che abitavano in questi templi pagani, per cui quando questi venivano demoliti, i demoni venivano a trovarsi senza un tetto ed erano costretti a cercarsi altre dimore.

Carestia e grano
Il santo vescovo era impegnato però non soltanto nella diffusione della verità evangelica, ma anche nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La parola della fede era seguita dalla messa in pratica della carità.
Al tempo del suo episcopato mirese scoppiò una grave carestia, che mise in ginocchio la popolazione. Pare che Nicola prendesse varie iniziative per sovvenire ai bisogni del suo gregge, e l’eco di queste attraversò i secoli, rimanendo nella memoria dei Miresi. Una leggenda lo vede apparire in sogno a dei mercanti della Sicilia, suggerendo loro un viaggio sino alla sua città per vendere il grano, ed aggiungendo che lasciava loro una caparra. Quando i mercanti si resero conto di aver avuto la stessa visione e trovarono effettivamente la caparra, subito fecero vela per Mira e rifornirono la popolazione di grano.
Ancor più noto è l’episodio delle navi che da Alessandria d’Egitto fecero sosta nel porto di Mira. Nicola accorse e, salito su una delle navi, chiese al capitano di sbarcare una certa quantità di grano. Quello rispose che era impossibile, essendo quel grano destinato all’imperatore ed era stato misurato nel peso. Se fosse stato notato l’ammanco avrebbe potuto passare i guai suoi. Nicola gli rispose che si sarebbe addossato la responsabilità, e alla fine riuscì a convincerlo. Il frumento fu scaricato e la popolazione trovò grande sollievo, non solo perché si procurò il pane necessario, ma anche perché arò i terreni e seminò il grano che restava e poté raccoglierlo anche negli anni successivi. Quanto alle navi “alessandrine”, queste giunsero a Costantinopoli e, come il capitano aveva temuto, il tutto dovette passare per il controllo del peso. Quale non fu la sua gioia e meraviglia quando vide che il peso non era affatto diminuito, ma era risultato lo stesso della partenza delle navi da Alessandria.
Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di S. Nicola. A Bari, anche per facilitarne il trasporto nei paesi d’origine, ai pellegrini che giungono nel mese di maggio vengono date “serte” di taralli, tenuti insieme da una funicella.

Nicola salva tre innocenti
Tutti gli episodi sinora narrati hanno subìto l’incuria del tempo. Essi venivano narrati dai miresi e da nonni a nipoti giunsero fino all’VIII-IX secolo. Il lungo travaglio orale fece loro perdere i connotati della “storia” per apparire piuttosto come “tradizione” o come “leggenda”. I nomi dei protagonisti delle vicende si perdettero quasi del tutto. E’ vero che in tante Vite di S. Nicola si trovano i nomi dei genitori, dello zio archimandrita, del suo predecessore sulla cattedra di Mira, del nocchiero che l’avrebbe condotto in pellegrinaggio in Egitto e in Terra Santa, e così via. Ma si tratta di nomi che nulla hanno a che fare col nostro Nicola. Bisogna rassegnarsi alla realtà che, ad eccezione del concilio di Nicea e del vescovo Teognide, nessun nome compare nella vita del nostro Santo prima della storia dei tre innocenti salvati dalla decapitazione.
Questa storia, insieme a quella successiva dei generali bizantini (Praxis de stratelatis), è il pezzo forte di tutta la vicenda nicolaiana. Nell’antichità, per esprimere il concetto che questa narrazione era la più importante di tutte quelle che riguardavano S. Nicola, spesso non veniva indicata come Praxis de stratelatis (racconto intorno ai generali) ma semplicemente come Praxis tou agiou Nikolaou (storia di S. Nicola), quasi che tutti gli altri racconti non rivestissero alcuna importanza a paragone con questo.
In occasione della sosta di alcune navi militari nel porto di Mira, nel vicino mercato di Placoma scoppiarono dei tafferugli, in parte provocati proprio dalla soldataglia che sfogava così la tensione di una vita di asperità. In quei disordini le forze dell’ordine catturarono tre cittadini miresi, i quali dopo un processo sommario furono condannati a morte. Nicola si trovava in quel momento a colloquio con i generali dell’esercito Nepoziano, Urso ed Erpilio, i quali gli stavano dicendo della loro imminente missione militare contro i Taifali, una tribù gotica che stava suscitando una rivolta in Frigia. Invitati da S. Nicola, i generali riuscirono a fare riportare l’ordine. Ma ecco che alcuni cittadini accorsero dal vescovo, riferendogli che  il preside Eustazio aveva condannato a morte quei tre innocenti.
Seguito dai generali, Nicola prese il cammino per Mira. Giunto al luogo detto Leone, incontrò alcuni che gli dissero che i condannati erano nel luogo detto Dioscuri. Nicola procedette così fino alla chiesa dei santi martiri Crescente e Dioscoride. Qui apprese che i condannati erano già stati portati a Berra, il luogo ove solitamente venivano messi a morte i condannati. Ben sapendo che solo lui, in quanto vescovo, avrebbe potuto fermare il carnefice, accelerò il passo e vi giunse, aprendosi la strada fra la folla che faceva da spettatrice. Il carnefice era già pronto, e i condannati stavano già col collo sui ceppi, quando Nicola si avvicinò e tolse la spada al carnefice.
Avendo liberato gli innocenti dalla decapitazione, Nicola si recò al palazzo del preside Eustazio, entrandovi senza farsi annunciare. Giunto dinanzi al preside l’apostrofò accusandolo di ingiustizie, violenze e corruzione. Quando minacciò di riferire la cosa all’imperatore, Eustazio rispose che era stato indotto in errore da due notabili di Mira, Simonide ed Eudossio. Ma Nicola, senza contestare il particolare, gli rinfacciò nuovamente la corruzione e, giocando sulle parole, gli disse che non Simonide ed Eudossio, ma  Crisaffio (oro) e Argiro (argento) l’avevano corrotto. Avendo così ristabilita la verità e la giustizia, Nicola non infierì ma perdonò al preside pentito.

I generali liberati dalla prigione
Edificati dal comportamento del santo vescovo,  tre generali ripresero il mare e raggiunsero la Frigia, ove riuscirono a sottomettere le forze ribelli all’impero. Un po’ per il successo dell’impresa un po’ perché Nepoziano era parente dell’imperatore, il loro ritorno a Costantinopoli avvenne in un’atmosfera di vero e proprio trionfo. Tuttavia la gloria e gli onori durarono poco, perché queste sono spesso accompagnate da gelosie ed invidie.
Gli agiografi parlano di malevoli suggerimenti del diavolo, certo è che ben presto si formò un partito avverso a Nepoziano e compagni. I componenti di questo partito riuscirono a coinvolgere il potente prefetto Ablavio, il quale convinse l’imperatore che i tre generali stavano complottando per rovesciarlo dal trono. Convinto o meno dell’attendibilità della notizia, Costantino preferì non correre rischi, e li fece mettere in prigione. Dopo alcuni mesi i seguaci di Nepoziano si stavano organizzando su come liberare i generali. Per cui i loro avversari, col denaro promesso a suo tempo, tornarono da Ablavio e lo convinsero a suggerire all’imperatore un provvedimento più drastico. Infatti, Costantino diede ordine di sopprimerli quella notte stessa.
Appresa la notizia, il carceriere Ilarione corse ad avvertire i generali, che furono presi da grande angoscia. Sentendosi prossimo alla morte, Nepoziano si sovvenne dell’intervento in extremis del vescovo Nicola a favore dei tre innocenti. Allora levò al Signore questa preghiera: Signore, Dio del tuo servo Nicola, abbi compassione di noi, grazie alla tua misericordia e all’intercessione del tuo servo Nicola. Come, per i suoi meriti, hai avuto compassione dei tre uomini condannati ingiustamente salvandoli da sicura morte, così ora rida’ la vita anche a noi, mosso a misericordia dall’intercessione di questo santo vescovo.
Il Signore esaudì la preghiera di Nepoziano, fatta propria dai compagni. Quella notte S. Nicola apparve in sogno all’imperatore minacciandolo: Costantino, alzati e libera i tre generali che tieni in prigione, poiché vi furono rinchiusi ingiustamente. Se non fai come ho detto, conferirò con Cristo, il re  dei re, e susciterò una guerra e darò in pasto i tuoi resti a fiere ed avvoltoi. Spaventato, Costantino chiese chi fosse: Sono Nicola, vescovo peccatore, e risiedo a Mira, metropoli della Licia.
Nicola apparve minaccioso anche ad Ablavio, e quando l’imperatore lo mandò a chiamare, entrambi pensarono ad un’opera di magia. Mandarono a prendere i tre generali per chiedere spiegazioni. Il colloquio aveva preso il binario della “magia”, quando Costantino chiese a Nepoziano se conoscesse un tale di nome Nicola. Nepoziano si illuminò, accorgendosi che la sua preghiera era stata esaudita. E narrò tutto all’imperatore, che seduta stante ne ordinò la liberazione. Anzi, volle che andassero a Mira a ringraziare il santo vescovo ed a portargli da parte sua preziosi doni, fra cui un Vangelo tutto decorato d’oro e candelieri ugualmente d’oro. Altri autori aggiungono che giunti a Mira si tagliarono i capelli in segno di gratitudine e di devozione verso il Santo.

La riduzione delle tasse
E’ difficile dire quanto ci sia di vero e quanto sia stato il parto della fantasia di un popolo consapevole di aver avuto un “progenitore” ed un difensore. Per i Miresi Nicola era colui che aveva riportato la retta fede, la giustizia ed il benessere alla loro città. Non per nulla, secondo la testimonianza sia della Vita Nicolai Sionitae sia dell’Encomio di Andrea di Creta, essi istituirono la festa delle “rosalie del nostro progenitore S. Nicola”.
Fra le tante iniziative del Santo a favore della popolazione, intorno al VII secolo si narrava il suo intervento per fare ridurre le tasse per i Miresi (Praxis de tributo).
E’ nota a diversi storici la tendenza di Costantino a gravare le popolazioni dell’impero con tasse esorbitanti. Ed anche se i cristiani cercavano delle attenuanti, i pagani come Zosimo ricordavano che Costantino era costretto a una pesante politica tributaria a causa della sua eccessiva prodigalità. L’anonimo scrittore che compose l’Epitome de Caesaribus descriveva così la sua politica tributaria: Per dieci anni eccellente, nei dodici anni successivi predone, negli ultimi dieci fu chiamato pupillo per le eccessive prodigalità.
Quando anche la città di Mira si trovò a dover pagare tasse esorbitanti, i rappresentanti del popolo si rivolsero a Nicola affinché scrivesse all’imperatore. Nicola fece di più. Partì alla volta di Costantinopoli e chiese udienza. L’anonimo scrittore qui si lascia prendere la mano e, non tenendo conto che Nicola era vissuto al tempo di Costantino, immagina i vescovi della capitale che gli rendono omaggio riunendosi nel tempio della Madre di Dio alle Blacherne, chiedendogli la benedizione. A parte l’esagerazione di una simile accoglienza, quel tempio sarebbe stato costruito un secolo dopo la morte del Santo.
L’abbellimento agiografico si nota anche al momento dell’arrivo di Costantino. Prima che cominciasse il colloquio, l’imperatore gettò il suo mantello ed ecco che questo, incrociando un raggio di sole, rimase sospeso ad esso. Il prodigio rese timoroso e benevolo l’imperatore. Quando Nicola gli riferì come i Miresi fossero oppressi dalle tasse, chiedendogli di apportare una sensibile riduzione, l’imperatore chiamò il notaio ed archivista Teodosio, e secondo il desiderio di Nicola operò una netta  riduzione a soli cento denari.
Nicola prese la carta su cui era registrata questa concessione e legatala ad una canna, la gettò in mare. Per volere di Dio la canna giunse nel porto di Mira e pervenne nelle mani dei funzionari del fisco, i quali furono molto sorpresi ma si adeguarono. Intanto però a Costantinopoli i consiglieri di Costantino fecero notare all’imperatore che forse la concessione era stata un tantino esagerata. Per cui l’imperatore chiamò nuovamente Nicola per correggere la somma della tassa che i Miresi dovevano pagare. Il Santo gli rispose che da tre giorni la carta era pervenuta a Mira. Essendo ciò impossibile, Costantino promise che se le cose stavano veramente così avrebbe confermato la precedente concessione. I nunzi, da lui inviati per verificare quel che era accaduto, tornarono e riferirono che Nicola aveva detto la verità. Mantenendo la promessa, l’imperatore confermò la concessione.

La morte del Santo
Considerando la tradizione secondo la quale era già anziano al tempo del concilio di Nicea, con ogni probabilità il nostro Santo morì in un anno molto prossimo al 335 dopo Cristo. Come della sua nascita, anche della sua morte non si sa alcunché. Gli episodi e i particolari che si leggono in alcune Vite non riguardano il nostro Nicola, ma un santo monaco vissuto due secoli dopo nella stessa regione.

Traslazione delle reliquie
Nel 1087 una spedizione navale partita dalla città di Bari si impadronì delle spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica eretta in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai baresi nel contesto di un programma di rilancio dopo che la città, a causa della conquista normanna, aveva perduto il ruolo di residenza del catepano e quindi di capitale dell’Italia bizantina. In quei tempi la presenza in città delle reliquie di un santo importante era non solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di pellegrinaggi e quindi fonte di benessere economico.

martedì 5 dicembre 2023

05 DICEMBRE - GABRIELE FERRETTI DI CASTELFFERRETTO

Gabriele Ferretti di Castelferretto


Nascita Milano, 11 dicembre 1920
Morte Cielo di Malta, 5 dicembre 1941






Cause della morte caduto in combattimento
Dati militari

Reparto 86ª Squadriglia, 7º Gruppo, 54º Stormo Caccia Terrestre
Anni di servizio 1940-1941
Grado Sottotenente pilota di complemento
Guerre Seconda guerra mondiale


Gabriele Ferretti di Castelferretto (Milano, 11 dicembre 1920 – Malta, 5 dicembre 1941) è stato un militare e aviatore italiano. Sottotenente pilota di complemento della Regia Aeronautica assegnato alla specialità caccia, partecipò alla seconda guerra mondiale. Per il suo comportamento nell'ultima missione fu decorato di Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

TARGA

MEDAGLIA D'ORO
DUCA GABRIELE FERRETTI
DI CASTEFERRETTO
SOTTOTENENTE
GIOVANISSIMO PILOTA VOLONTARIO DI GUERRA
CHIEDEVA ED OTTENEVA DI FAR PARTE
DI UNA SQUADRIGLIA DA CACCIA
DURAMENTE IMPEGNATA IN UNA LOTTA ASPRA
E CONDOTTA SENZA TREGUA
CONTRO MUNITISSIMA BASE NEMICA
INCURANTE DI OGNI RISCHIO
NELLA PIÙ COMPLETA DEDIZIONE ALLA PATRIA
COMPIENDO RICOGNIZIONI AUDACISSIME
SFERRANDO MITRAGLIAMENTI A VOLO RADENTE
VINCENDO IN DURI IMPARI COMBATTIMENTI
AFFERMAVA E CONFERMAVA IN OGNI CIRCOSTANZA
LE SUE ELETTE VIRTÙ DI EROICO COMBATTENTE
PRESCELTO FRA I VOLONTARI
PER UN AUDACIE COMPITO DI OSSERVAZIONE SU MALTA
DURANTE UN INTERO CICLO DI OPERAZIONI
NE RIPORTAVA QUOTIDIANAMENTE
LE PIÙ PREZIOSE INFORMAZIONI E DOCUMENTAZIONI
SULL'INFERNALE FUOCO DELL'AVVERSARIO
PASSAVA SERENO E ATTENTISSIMO
RIPETENDO LE INCURSIONI ANCHE PIÙ VOLTE IN UN GIORNO
E PRODIGANDOSI SPESSO FINO AL LIMITE ESTREMO
DELL'UMANE POSSIBILITÀ
LE PORTAVA SEMPRE BRILLANTEMENTE A TERMINE
IN UNA DI QUESTE OPERAZIONI
NON VINTO NE TOCCO DAL NEMICO
E SOLO DALL'INSIDIA DELL'ALTA QUOTA SOPRAFFATTO
CHIUDEVA LA SUA BREVE GIORNATA TERRENA
ESPRESSIONE PURISSIMA DELLA GIOVINEZZA DEL LITTORIO IN VITA
CON L'EROICA MORTE IN UN ALONE DI GLORIA
NE ASSURGEVA A SIMBOLO
CIELO DI MALTA GIUGNO 5 DICEMBRE 1941