martedì 3 settembre 2024

03 SETTEMBRE - MEMORIE SENZA TEMPO - ANTONIO ELIA

Antonio Elia (Ancona3 settembre 1803 – Ancona25 luglio 1849) è stato un marinaio e patriota italiano.





Nacque ad Ancona il 3 settembre 1803 da Sante e da Caterina Blasi, in una famiglia dedita da molte generazioni ad attività marinaresche. Continuando la tradizione del nonno Andrea e del padre Sante fu avviato anch'egli, all'età di quattordici anni, alla vita di mare, alla quale spirito di avventura, coraggio e resistenza fisica lo rendevano particolarmente adatto

Venuto a contatto durante i suoi viaggi con esponenti della Carboneria, Elia aderì a questa società segreta nel 1829. Attento all'evoluzione della situazione politica, partecipò ai moti insurrezionali scoppiati nello Stato pontificio nel 1831. Poco tempo dopo si iscrisse alla Giovine Italia, istituita ad Ancona il 1º marzo 1832.
Frattanto si era sposato con Maddalena Pelosi, da cui ebbe sette figli, due maschi e cinque femmine. Il maggiore era Augusto, nato nel 1829 ed avviato alla vita marinaresca sin da fanciullo al seguito del padre. Nacquero poi Maria, Filomena, Teresa, Marianna, Nazzareno, che morì in fasce, e Giuseppa, nata alcune settimane dopo la morte del padre e morta durante la fanciullezza, a nove anni.
Avanzò nella sua carriera passando da marinaio semplice a nostromo. Veniva acquistando sempre maggiore autorità presso la gente di mare; capeggiò tra l'altro una vittoriosa agitazione di natura rivendicativa contro gli armatori.
L'impegno durante l'assedio austriaco alla città
Il 25 maggio 1849 le truppe austriache del generale Franz von Wimpffen posero Ancona in stato di assedio: Ancona - unico centro che rimaneva alla Repubblica Romana sul litorale adriatico per ritardare la marcia austriaca su Roma - era considerata “piazzaforte di molta importanza strategica” non solo per il governo del triunvirato, ma anche per gli austriaci che, occupandola, avrebbero potuto intercettare aiuti e rifornimenti per Venezia, affrettando così la sua resa.
La città era una piazzaforte ben munita, ma difesa da appena quattromila soldati volontari, provenienti da varie regioni d'Italia, guidati dal coraggioso Livio Zambeccari. L'attacco da terra e da mare cominciò il 27 maggio. Antonio e suo figlio Augusto ebbero una parte di rilievo nella difesa della città. Antonio era imbarcato come nostromo sul vapore nazionale "Roma", con Augusto in qualità di timoniere, e Raffaele Castagnola comandante; essi il 5 giugno 1849 catturarono una lancia austriaca senza bandiera. La città, in stato d'assedio, trovò in Antonio uno dei suoi più strenui difensori, anche contro il parere del fratello Pietro, che vedeva la situazione farsi sempre più difficile. Raccontò Augusto che durante l'assedio vi era "tutti i giorni un combattimento; sui forti, sui baluardi, sulle barricate, all'aperto". Secondo il Santini, "la marina mercantile anconitana della quale era a capo Antonio Elia fece nella difesa del patrio suolo bravamente il suo dovere". Il 16 giugno, ventitreesimo giorno di combattimenti, gli assediati erano ormai allo stremo. Antonio contribuì notevolmente al mantenimento della disciplina fra gli assediati, sedando un'insurrezione fra i venti cannonieri della Lanterna, dove si trovava dislocato il fratello Fortunato, contro il capitano Costa, che voleva mandare gli artiglieri di marina ai forti per il cambio della difesa terrestre, mentre la situazione avrebbe richiesto invece nuovi e più prestanti rinforzi alla batteria della Lanterna. Vi era inoltre un grande malumore a causa della diminuzione del soldo, che per altro essi già ricevevano non in contante, ma in una sorta di credito cartaceo. Il giorno successivo la città, esausta per i bombardamenti delle ultime quarantott'ore, fu costretta, anche contro il parere di molti, a cedere. Elia fu tra i promotori di una manifestazione popolare che invitava i cittadini ad una difesa ad oltranza: "Nessuno parlò di resa e nemmeno il popolo, il quale capitanato dal patriotta Antonio Elia, acclamava in pubblica dimostrazione alla resistenza…". Ma la situazione era ormai compromessa e la città, priva delle forze che le sarebbero state necessarie per resistere ancora, si arrese. Così, dopo dopo 24 giorni di assedio, due settimane di bombardamenti e vari episodi di eroismo (che fecero conquistare alla città, una volta entrata nel Regno d'Italia, la medaglia d'oro come "benemerita del Risorgimento nazionale" nel 1898) , il 17 giugno Zambeccari accettò la proposta di resa avanzata dal Wimpffen, che venne firmata il 19. I compagni di Antonio, tra i quali il poeta Barattani ed il figlio Augusto, temevano per la sua vita, in quanto era un personaggio scomodo, perché di grande ascendente sulle masse popolari, nonché fortemente compromesso dai suoi mai nascosti trascorsi carbonari e repubblicani, e lo invitarono e fuggire a Corfù su un bastimento anconetano battente bandiera inglese fatto approntare dal patriota Nicola Novelli, assieme ad altri che non si reputavano sicuri nel restare in Italia. Egli, sottovalutando i rischi ai quali andava incontro, rifiutò decisamente una fuga che riteneva del tutto inutile e anzi dannosa per il bene della sua famiglia, per la quale era fortemente preoccupato, anche per lo stato di avanzata gravidanza della moglie. Scrisse Augusto: "….rispondeva di avere la coscienza tranquilla, di nulla avere a temere, non volere quindi volontariamente abbandonare la patria e la famiglia, e restò".
Il 21 giugno i difensori della città consegnarono la Cittadella ed i forti e furono salutati dai vincitori con l'onore delle armi; e, finché il Wimpffen fu comandante della guarnigione di occupazione della città, non ci furono atti di persecuzione nei confronti dei patrioti.

Quando un mese dopo l’occupazione fu nominato un nuovo capo della guarnigione, Antonio, ritenuto un personaggio scomodo e pericoloso, venne arrestato con un pretesto. Secondo il figlio Augusto, "era necessario dare un terribile esempio alla popolazione, applicando la legge stataria su uno dei capi del popolo". Considerato, dunque, il soggetto ideale da punire, per cancellare qualsivoglia velleità di ribellione potesse ancora albergare negli animi degli anconetani, fu fatto oggetto di una denuncia anonima, forse creata ad arte, che lo diceva possessore di un'arma da taglio. Secondo il Costantini sulla vicenda di Antonio Elia "si fece in Ancona un gran discorrere e si formò la convinzione che egli fosse la vittima di una delle tante denunce anonime, che l'onesto Wimpffen dispregiava, ma che il suo successore accettava e coltivava". Pertanto, nella notte del 20 luglio 1849 la sua abitazione fu circondata da gendarmi papalini e soldati austriaci e perquisita: in casa non si trovò nulla di compromettente, ma nel condotto di una latrina che serviva la sua come altre tre abitazioni fu rinvenuta un'arma di incerta provenienza e ciò bastò per farlo arrestare. Dopo un processo sommario, Antonio Elia venne condannato a morte.

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